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Brancaccio a fumetti per denunciare la mafia

  • 29 ottobre 2006

Ambientato nel 1994, ad un anno dalla morte di Padre Pino Puglisi, “Brancaccio – storie di mafia quotidiana”, è un fumetto che commuove, che disturba e indigna. Realizzato dai palermitani Giovanni Di Gregorio, sceneggiatore tra le altre cose di Dylan Dog e Dampyr e dal disegnatore Claudio Stassi, qui libero di usare il suo tratto nella versione underground, Brancaccio parla del quartiere omonimo, della mafia, delle brutture della vita quotidiana combattute da Padre Puglisi.

Tre storie si intrecciano, condite da dialoghi asciutti e realistici, con un italiano di certo non retorico ma vero, con personaggi veri, verosimili e riconoscibili, tra cui burattinai squallidi in cui non è difficile riconoscere i volti dei boss e luogotenenti locali. Stassi, con un tratto nervoso, delle sporcature e grigie macchie di china, ha il coraggio di mostrarceli in volto. Temerario ci svela, con ancora maggiore crudezza, i vicoli, i portici, i marciapiedi, i parcheggi, i balconi, tutto quello che è Brancaccio, quartiere che conosce molto bene e quasi protagonista, più che sfondo, della storia. Il degrado e la malinconia trasudano da ogni pagina, per culminare in un epilogo che non lascia indifferenti.

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Claudio Stassi, il tuo sceneggiatore Giovanni Di Gregorio ha definito quest’opera un atto di denuncia e insieme un reportage. Condividi?
«Sì, specie da quando il progetto si è spostato dall’essere l'ennesima biografia di padre Puglisi a un discorso sulla mafia affrontato da un nuovo punto di vista. L'idea era di parlare non delle "multinazionali della mafia", ma di quell'atteggiamento mafioso che porta a conseguenze anche più gravi. Tutto ciò raccontando fatti non reali ma verosimili, ricuciti insieme artificialmente. Abbiamo voluto insomma lottare non contro le istituzioni della mafia ma contro la mentalità delle persone (dalla rassegnazione alla mancanza di acqua fino all'uso delle raccomandazioni) sulle quali la mafia mette radici e cresce. Il nostro è un atto, anzi un'opinione, contro la mafia, con il supporto di persone che la combattono quotidianamente, come Rita Borsellino o il comitato “AddioPizzo”».

Da abitante di Brancaccio, qual è la paura più grande? Aver realizzato un'opera troppo ambiziosa, aver dato fastidio a qualcuno, oppure non avere nessuna reazione di indignazione o riscatto dal pubblico?
«No, nessuna paura: essendo un atto di denuncia abbiamo messo da parte subito la paura. Se non c'è riuscito Padre Puglisi o Giovanni Falcone, non sarà il nostro piccolo fumetto a cambiare la mentalità. Ma se anche solo un bambino, dopo averlo letto, capisce cosa c'è di sbagliato nella vita a Brancaccio sarà già una piccola vittoria. Però non ci crediamo un baluardo di giustizia: abbiamo solo voluto urlare, attraverso il nostro lavoro, quello che pensiamo, con sicurezza e senza paura».


Il volume, elegante nella confezione, si trova sugli scaffali grazie all'intraprendente editore Beccogiallo (di Treviso, mica di Palermo), specializzato in "fumetti di realtà". Come gli altri romanzi grafici dell'editore, oltre alla storia a fumetti ci sono in appendice una serie di articoli di approfondimento a cura di chi ha realmente conosciuto Padre Puglisi, la cui figura aleggia per tutto il racconto, e di chi combatte la mafia quotidiana con piccoli grandi gesti, come i ragazzi di “Addio Pizzo”. La prefazione, manco a dirlo, è di Rita Borsellino.

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