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Archinuè: da Sanremo all'Agricantus

  • 11 gennaio 2005

Nascono nella Catania anni Novanta da fermenti sonori incontrollabili e tra una collaborazione con Salomon Burke ed il ricordo di quel tour con Mr. Bill Wyman, gli Archinuè arrivano a Palermo, all’Agricantus (via XX Settembre 82/a), giovedì 13 gennaio (ore 21.15, ingresso 10 euro, ridotto 7,50). Al Festival di Sanremo 2002, all’interno di un calendario nuove proposte tutt’altro che entusiasmante, gli Archinuè si fecero notare con “La marcia dei Santi” (brano che vinse il premio della critica) e anche per una grattugia, strategicamente disposta su un microfono, insieme ad altri feticci e oggettistica di rilievo emotivo. La musica del gruppo è presto svelata: si gigioneggia in allegria, forti di un’ottima preparazione musicale, cavalcando l’onda filo-gitana-ethnic tanto in voga negli ultimi anni. Un pizzico di Capossela mischiato ai colori balcanici di “bregoviciana” memoria ed ecco saltar fuori gli Archinuè, che nella fantasiosa lingua sicula antica vuol dire arcobaleno o, letteralmente, “Arca di Noè”. Trafila sanremese a parte (Sanremo Giovani, Sanremo Top, Sanremo Famosi) i quattro catanesi ottengono un buon riscontro di pubblico e critica con la pubblicazione del loro primo album, edito dalla Sony, “Oltremare”.

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Un grande risultato per gli eterni gavetta-guys, che dopo dieci anni di cantine, feste di piazza e “ti faccio sentire una canzone ma se non ti piace dimmelo tranquillamente”, si ritrovano a gareggiare in hit parade con autorevoli colleghi superblasonati o a ritrovarsi supporter di storiche band della musica internazionale come i Kool & the Gang e, per restare sempre in zona zeppe, gli Earth Wind & Fire. Quattro autentici personaggi: Francesco Sciacca alla voce, Michele Musarra alias lo Juan Nelson della via Etnea al basso, Pasqualino Cacciola alle chitarre, al marranzano e ai mandolini e Dario Sportaro alle percussioni. Ci si diverte, indubbiamente, con la riuscitissima “Don Peppino Garibaldi” o “Lo sfratto di Tarzan”, contenute nel primo (e fin’ora unico) disco pubblicato. Ci si perde negli evitabili omaggi a una certa scuola cantautoriale nostrana (da Fossati a Rino Gaetano, passando per De Andrè). Ed è sicuramente l’uso del palco, nella sua forma scarna e sincera a diventare “habitat” ideale per quattro musicisti che, top-ten e collaborazioni a parte, suonano, stregati dalle note. E lo fanno anche bene.

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