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"'U raù" a casa di Rosalia

Ogni madre siciliana, che viva questa condizione con piena coscienza, ha cucinato almeno una volta u raù di tonno. Festa in ogni casa, avere il tonno a tavola, era ed è indice di qualche ricorrenza o almeno di qualche precetto religioso, che imponeva di mangiare pesce il venerdì e durante la quaresima. A queste imposizioni non si può non cedere. La signora Rrosalia, con la santa matinata, si reca al mercato pi accattare l’ingredienti. Ovviamente va dall’uomo di fiducia, u Zò Caloggero. Con fare timido, ma fermo la signora spiega “Signò Caloggiaro, aiu a ffari u raù. Mi sierbe ‘n bellu toccu i tonnu. Lei u sapi quali - facendo un cenno ammiccante - altrimenti nzù, nzù, nzù” (essendo nzù suono onomatopeico, usato in Sicilia, come forma di diniego o altresì flebile intimidazione e/o avvertimento coercitivo), rimandando al pescivendolo la responsabilità di una protezione quasi cavalleresca della donzella pura dal vile marrano, il marito. Le fimmine siciliane…

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Con il bello tocco di tonno da 700gr circa – il solo suono ribolle in gola, snodandosi fra i denti, creando un movimento muscolare, che rimanda all’ipofisi l’immagine di quella carne rossa e soda, che libera endorfine – la signora Rrosalia torna a casa. Subito inizia a preparare. L’ora di pranzo è sacra e quando arrivano l’armaluzzi, i figli, (cavatoni di ottanta kg ciascuno, nutricati a callozzi di salsiccia), insieme al marito, tutto deve essere pronto. Così la moglie si fa rispettare e può godere di una voce in capitolo. La cucina è molto organizzata, tutto è a portata di mano. “Anche stavuota m’arrispittò, si vede ca pi’ mmia propia…”, pensa la signora, non sapendo che 'u Zò Caloggiaro e suo marito hanno certe attività insieme. Ma quando una donna si sente apprezzata il mondo gira meglio, ed è meglio lasciarglielo credere. Di buon umore Rrosalia intacca il tocco con un coltellino appuntito, infilando nei fori pezzi di aglio nostrale, piccolo e dalla buccia rossa, due o tre chiodi di garofano e qualche foglia di menta. Si sparge un profumo che si mischia a quello della cipolla dorata nel tegame con l’olio.

Prima ca s’abbrucia, cosa grave assai, Rrosalia aggiunge il trancio di carne di mare, facendolo insaporire con 1/2 bicchiere di vino rosso. Una volta evaporato unisce 1/2 chilo di pomodoro spellato e 1 cucchiaio da tè di estratto, sciolto nell’acqua. Infine aggiusta di sale e peperoncino e abbandona, a coperchio chiuso, rimescolando di tanto in tanto il sugo, fino a cottura ultimata. La carne deve rimanere compatta, di color ambrato, trugghia, tanto da affondare i denti in quelle fette cosparse di sugo. “E anche stavuota mi venne troppu bello! Megghiu di un dorce! Mah, accussì è, sugnu troppo lavorata!” si compiange Rrosalia, fra un grido alla vicina, allertata dall’odore e la calata del cestino per il pane. Lex vigente è “Vuoi stare bene ? Lamentati”. Noi siciliani, ligi al dovere, abbiamo assorbito la massima, che da decine e decine di anni è diventata legge di fatto. Nel frattempo è ora di pranzo, cominciano a tremare i muri. Tonino, Sairbo, Tano, Sparino e Peppuzzu u nico sono tornati. Bolle l’acqua nella pentola per il kg di bucatini, d’obbligo il formato, che deve ostacolare la forchettata, in una lotta amorosa, in cui alla fine chi ha la vittoria, nonostante riporti i segni della colluttazione in tutta la camicia, si può ritenere soddisfatto. I picciriddi, orda famelica di Lanzichenecchi, involati nelle pianure della cucina, hanno assaltato il denso ragù, mentre Rrosalia apparecchia, minacciando l’amputazione degli arti superiori se non arriva nulla a tavola. Finalmente suona Ggiuvà, il pater familias, di ritorno dal cantiere. Cala il timore reverenziale. Rrosalia tira un sospiro di sollievo: i barbari staranno quieti, spera, almeno fino all’ora della merenda.

L’abbinamento
Seneca diceva che il pesce deve nuotare tre volte: la prima nell'acqua, la seconda nell'olio e la terza nel vino. Tuttavia nelle preparazioni gastronomiche a base di pesce non sempre è agevole e facile trovare il giusto vino da abbinare. Sono molteplici gli ostacoli che si devono affrontare tanto a livello ideologico quanto a livello pratico. Proprio in questo contesto si deve sfatare il luogo comune che vede il pesce abbinato col vino bianco e la carne col vino rosso. La letteratura del settore è in questo senso univoca e, nel ritenere che il corpo del vino deve essere adeguato alla struttura della pietanza, chiarisce una volta per tutte che un piatto dal sapore delicato richiede un vino “leggero”, mentre un piatto ricco un vino ben strutturato, e ciò indipendentemente dalla natura degli ingredienti in campo.

Quando, come in questo caso, il vino rosso è addirittura utilizzato in fase di preparazione, non vi sono più dubbi, e non rimane che abbinare lo stesso vino impiegato per la cottura. La struttura della pietanza, la tendenza dolce legata alle carni del tonno nonché alla preparazione, la succulenza, la tipica tendenza acida del pomodoro e la discreta persistenza gustativa del piatto che risulta anche abbastanza aromatico e speziato, suggeriscono di scegliere un vino di corpo, fresco di acidità e sapido, mediamente alcolico e di persistenza proporzionata alla pietanza. Tra le svariate bottiglie presenti sul mercato, una buona scelta sarà sicuramente quella di orientarsi su un vino a base Cerasuolo di Vittoria, Nerello Mascalese o Frappato.

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