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Beni culturali, la Sicilia aiuta il Kenya ma non sé stessa

La Soprintendenza del Mare della Sicilia è stata invitata in Kenya per dei consigli sulla strategia di tutela e valorizzazione dei tesori sommersi: parla Sebastiano Tusa

  • 4 aprile 2016

Dal 14 al 21 marzo la Soprintendenza del Mare della Sicilia è stata invitata in Kenya per dei consigli sulla strategia di tutela e valorizzazione dei tesori sommersi. A pochi giorni dall’appello di Andrea Camilleri e Pietrangelo Buttafuoco, l'invito non può che far riflettere.

Abbiamo chiesto un’opinione a Sebastiano Tusa, Soprintendente del Mare della Regione Siciliana, impegnato in prima persona nella missione kenyota.


Soprintendente, siamo chiamati all’estero per insegnare a valorizzare il patrimonio culturale. E i nostri beni?
Dal punto di vista personale vi dico che la gestione dei beni culturali in Sicilia andrebbe profondamente modificata. La colpa maggiore senza dubbio è politica: non si è capito che i settori in cui investire per rilanciare questa terra sono beni culturali, mare e agricoltura.

Un altro problema è la formazione del personale: in troppi casi ci si ritrova a gestire personale non opportunamente formato. I nostri dipendenti arrivano dai settori più disparati, su di loro non si è fatto un investimento adeguato. La Regione dovrebbe impiegare le ingenti somme della formazione in un modo più mirato.

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L’altro punto debole è l’innovazione tecnologica: non c’è tutela senza questa e noi siamo parecchio indietro anche in questo.

Alla luce di tutto ciò, com’è possibile quindi che siamo invitati proprio noi da un altro paese?
Perché la Soprintendenza del Mare negli ultimi anni è riuscita ad imporsi come eccellenza internazionale, anche grazie ai miei collaboratori. Le confesso, il mio modello è un po’ il Commissario Montalbano: mi muovo sempre al limite, cercando di andare alla sostanza delle cose e non limitandomi al lavoro d’ufficio.

Si è venuta a creare una situazione simile a quella del sovrintendente della Reggia di Caserta.
Precisamente! La Regione Sicilia stanzia per le mie missioni 3.000€ all’anno. Io giro per la Sicilia a mie spese, con la mia auto e senza chiedere nulla. Con questo atteggiamento sono riuscito a creare questa realtà. Passione e lavoro.

Ma come mai il Kenya?
Il Kenya vuole investire nel turismo culturale. Loro hanno più di 300 chilometri di coste e una grande quantità di relitti portoghesi sui fondali. Si sono rivolti alla nostra Soprintendenza del Mare, che negli ultimi anni è riuscita ad aprire ben 23 parchi archeologici marini.

La contraddizione però rimane…
L’unico modo per cambiare le cose è che la gestione sia diversa a monte. Dobbiamo fare in modo che quella che per ora è l’eccezione diventi la regola. Si deve tornare all’essenza delle cose.

In conclusione: se è vero che la gestione dei nostri siti culturali è lontana anni luce da quella di ogni città europea, non si può neanche negare che la Sicilia sia ricca di persone dotate di un alto profilo professionale. Perché allora una terra così carica di bellezza e talento è spesso soggetta a disagi, quando l'eccellenza è dietro l'angolo?

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