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L'avvilente "Riina show" su Rai Uno: Salvo onora Totò

Degradante e grave: l'intervista di Bruno Vespa a Salvo Riina, figlio del "capo dei capi" Totò, sul libro "Riina-Family life" diventa una pagina avvilente del giornalismo italiano

  • 7 aprile 2016

Può la figura di padre essere scissa da quella di uomo? Domanda difficile, soprattutto dopo la volontà di uno dei giornalisti più influenti del nostro Paese, Bruno Vespa, di intervistare Salvo Riina, autore del libro “Riina-Family Life”, edito da Anordest.

Un mafioso, figlio e fratello di mafiosi, scrive della vita privata di una famiglia di cinque componenti che ha collezionato due ergastoli conditi dal 41-bis e una condanna a 8 anni per associazione mafiosa.

Le cose vanno chiamate con il loro nome che, in questo caso, è uno: cultura mafiosa. Quella che viene fuori da questo libro dal titolo cosmopolita è invece una storia provinciale e del tutto acritica rispetto al contesto storico.

È il ritratto di un figlio che cresce con i valori, o meglio gli schemi, della cultura mafiosa e che difende un padre senza considerare le sue scelte di uomo. Leggere frasi quali io di mafia non parlo, ho rispetto per tutti i morti, non posso condividere l’arresto di mio padre, la meglio parola è quella che non si dice, sinceramente fa male.

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Proviamo adesso a rispondere alla domanda con cui abbiamo cominciato: può la figura di padre essere scissa da quella di uomo? A 15 anni forse, a 40 no. Che un editore privato scelga di pubblicare un libro di un condannato per associazione mafiosa che dichiara io sono orgoglioso di Totò Riina come uomo è affar suo.

Che il servizio pubblico dia spazio a questa pubblicazione è un’offesa a chi combatte la cultura mafiosa ogni giorno e di spazio o ne ha poco o non ne ha affatto. Il giro di reazioni sulla messa in onda dell’intervista è stato fortissimo.

Il tweet del Presidente del Senato Pietro Grasso forse è quello che meglio esprime il sentimento più diffuso: «Non mi interessa se la mani di Riina accarezzavano i figli, sono le stesse macchiate di sangue innocente. Non guarderò Porta a Porta».

È vero che per conoscere un fenomeno si devono anche sentire le esperienze personali di chi ne fa parte, ma dare parola sulla rete ammiraglia a chi, nonostante una condanna scontata, non vuole esprimere un’opinione critica su un assassino, è degradante.

Dare la parola a chi si ostina a fornire una visione paterna di un criminale, che non sa chiedere perdono ai parenti delle vittime di mafia e che di mafia non ne vuole proprio parlare, non può che produrre un effetto contrario e annullare ciò che di positivo si è fatto nella lotta alla cultura mafiosa.

Frattanto, i vertici Rai sono stati convocati in Commissione Antimafia dalla presidente Rosy Bindi, i quali si appelleranno al diritto di informazione e sulla piattaforma Change.org, è partita la seconda petizione per la chiusura della trasmissione “Porta a Porta”.

La prima era stata lanciata quando gli ospiti furono la figlia e il nipote di Vittorio Casamonica dopo i suoi funerali romani stile “Padrino”. Indirizzata alla presidente Rai Monica Maggiori, la petizione ha già raccolto 2.500 firme.

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