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L'Università degli studenti: a parlare è Fabrizio Micari

il 2015 è l'anno del rinnovamento per la governance dell'Università degli Studi di Palermo. A parlare del futuro dell'ateneo palermitano è Fabrizio Micari, il neo Rettore

  • 12 novembre 2015

Questo è l'anno del rinnovamento per l'Università palermitana e a pochi giorni dall'insidiamento del neo Rettore Fabrizio Micari, professore ed ex preidente della scuola Politecnica, Balarm si è messo nei panni degli studenti ponendo delle domande a fronte della critica situazione in cui versa l'ateneo palermitano.

Da professore e da presidente, lei è sempre riuscito a coinvolgere gli studenti. Proprio per salvaguardare gli studenti, quali sono gli equilibri che intendere frantumare?
«Non credo che ci sia da frantumare, credo che ci sia da continuare un lavoro che è già stato impostato; gli studenti sono il centro dell'ateneo, la ragione per cui esiste l'università e il nostro compito è quello di assicurare la formazione, di trasmettere sapere critico e crescita formativa attraverso il loro coinvolgimento. Vorrei espandere questo tipo di lavoro per di potenziare la qualità dei servizi che offriamo.»

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Quando si parla di Palermo, quasi mai la si definisce una “città universitaria”. Quali sono i suoi propositi per riportare alla luce l’ateneo e renderlo alla portata dello studente?
«Il concetto di Palermo città universitaria non riguarda soltanto l'università ma anche la città che deve credere in questo. L'università deve trasmettere il messaggio che noi siamo un' importante comunità per questa città anche da un punto divista economico. Migliorare la vita dei ragazzi è l'obbiettivo principale e da quest'anno mi affiancherà un delegato al potenziamento dei servizi degli studenti. Potenziare il servizio non significa soltanto aule e laboratori ma dobbiamo anche rendere vivo il campus.»

Le associazioni studentesche, portavoce della comunità universitaria, sono state chiamate a partecipare all’appuntamento democratico dell’anno. Perché gli studenti si sono schierati dalla sua parte nonostante tra loro vince una totale sfiducia sulla governance dell’università?
«Sono felice che l'abbiamo fatto e credo che abbiamo riconosciuto il lavoro che è stato fatto in passato. La mia porta è sempre stata aperta e nei limiti del possibile ho cercato di dargli una mano. Ho sempre pensato che noi abbiamo un ruolo politico in questa città, nel senso più bello del termine, e dobbiamo porci il problema del futuro delle giovani generazioni. Dobbiamo garantire ai ragazzi la possibilità di un futuro anche in questa terra.»

Il 2015 è stato l’anno del crollo dell’Università di Palermo, che ha visto calare sensibilmente le iscrizioni. Come si spiega tutto ciò? Cosa non funziona secondo lei?
«Il calo è limitato e riguarda tutte le università meridionali. In Sicilia le famiglie benestanti non hanno fiducia in questa terra e allora ritengono che il futuro dei ragazzi non può che essere altrove. La famiglia non benestante in questo periodo non ha i soldi per mandare i figli all'università o in ogni caso non vede il vantaggio di fare sacrifici. Da un lato c'è la sfidicia nei confronti di questa terra, dall'altro la sfiducia nel concetto di università come ascensore sociale. Fare università a Palermo non è la stessa cosa che fare università a Bergamo o a Milano, noi giochiamo un ruolo sociale che è fondamentale.»

Si parla di orientamento e scouting nelle scuole per attirare i neo diplomati verso l’università. Come intende rendere più “attraente” e più innovativo l’ateneo?
«Con maggiore comunicazione, con una maggiore capacità di fare vedere quello che siamo e di quelli che sono i nostri risultati. Questo è possibile se agiamo in maniera più capillare.»

Medicina rappresenta da sempre il fulcro dell’università di Palermo. Cosa ne pensa del numero aperto? È favorevole?
«Concettualmente sarei favorevole al numero aperto, praticamente sono costretto al numero chiuso. Dobbiamo dare un servizio di qualità ma dobbiamo comprendere che quello che abbiamo non è sufficiente per reggere l'impatto di molti studenti. Si deve disporre di giuste risorse per poter accettare l'ipotesi del numero aperto.»

L’università del sud rischia sempre di più di essere una prospettiva riservata ai benestanti. Perché questi continui aumenti delle tasse d’iscrizione se poi i servizi e gli spazi offerti dell’ università rimangono sempre gli stessi?
«Unipa ha la secoda tassazione più bassa di Italia. Lo sforzo che ha fatto in questi anni l'università e che io continuerò a fare è di cercare di rendere gli studi universitari di qualità ma accessibile a tutta la popolazione. La regione Sicilia ha fatto dei tagli importanti e l'università ne risente.»

Un’altra questione importante per l’ateneo sono gli spazi. Cosa intende fare in termini di edilizia e di riqualificazione degli spazi?
«Bisogna lavorare sulla gestione ottimale degli spazi che abbiamo a disposizione e bisogna coordinare meglio l'offerta formativa e qui mi aspetto molto dalle scuole. In questo momento non c'è un piano nazionale per la creazione di nuovi spazi da un punto di vista di edilizia universitaria e proprio per questo dobbiamo lavorare bene sulla gestione.»

Viste la situazione critica in cui versa l’ateneo, se lei fosse uno studente, ad oggi sceglierebbe l’Università di Palermo? Perché?
«Si, per la qualità dei docenti poichè alla fine la formazione che riesce a dare è una formazione che consente di trovare lavoro. Le percentuali di occupazione che noi abbiamo sui nostri laureati sono superiori rispetto a quelle delle altre università italiane, io abitualmente laureavo ad ingegneria ragazzi che erano già assunti. La qualità della formazione è buona e i ragazzi escono con un' ottima preparazione ed il merito è dei docenti.»

Cosa ne pensa della differenza tra università privata e pubblica? Secondo lei, qual è il destino del’università? In futuro la vede privatizzata o continuerà ad essere pubblica?
«Sono mondi completamente diversi, un grande paese come l'Italia vanta di università publiche di grande valore con docenti preparati e motivati nel loro lavoro. Io credo che i politici dovrebbero essere dei statisti che devono pensare la futuro delle successive generazioni. L'università di Palermo è pubblica e resterà pubblica ma questo non significa che non si può collaborare con i privati.»

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