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Quando la serie B "brucia" e la serie A resta un ricordo

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un tifoso rosanero che, affranto per la retrocessione del Palermo in serie B, racconta però di anni di grandi successi

  • 13 maggio 2013

Lo ammetto, sono un inguaribile tradizionalista. Ed allora prima di passare ad un bilancio di una stagione, di fatto già ampiamente segnata, ho voluto attendere la famosa “matematica”, ancora di salvataggio e sirena ammaliante di chi è soggiogato dal “Dio Pallone”.

Il punto di partenza deve essere chiaro, a scanso di qualsiasi equivoco: la retrocessione brucia, brucia da matti e la sensazione che sarebbe bastato davvero poco per evitare questo scempio amplifica il senso di frustrazione. Ogni medaglia, però, ha il suo rovescio ed è proprio su questo rovescio che vorrei soffermarmi, da quello vorrei ripartire.

Per avere un quadro completo bisogna andare indietro con la memoria di un paio d’anni, già proprio un paio d’anni. Il 10 maggio del 2011 il Palermo superava il Milan nella semifinale di Coppa Italia ed il 29 maggio 40.000 palermitani avrebbero invaso l’Olimpico per giocare la finale. Fermate in quel momento le lancette del tempo: quanti di noi, solo qualche anno prima, avrebbero anche solo sognato tutto questo?

Con i miei compagni di sventura calcistica faccio spesso questo giochino che provo a riproporre: se una decina di anni fa qualcuno ci avesse raccontato che avremmo visto nove anni di fila di serie A, qualificazione alla Coppa Uefa al primo anno nella massima serie (mancavamo da 30 anni… ), le “grandi” del calcio italiano battute una dopo l’altra, in casa e fuori, e che avremmo visto alcuni dei più grandi protagonisti del calcio mondiale indossare la nostra maglia, ci avremmo creduto? Fidatevi, anche il più romantico dei sognatori o il più ottimista dei tifosi avrebbe detto deciso “assolutamente no”.

Vorrei non dovermi addentrare in un’analisi sociologica sul fatto che una città ormai ridotta ad un livello di vita da terza serie abbia avuto, per 9 anni, uno specchio calcistico assolutamente sovradimensionato e che, probabilmente, anche la B sta larga al modus vivendi della povera Palermo. Quanto sopra non è Vangelo, ma di certo bisogna tenerlo presente. Ed allora facciamo tesoro della sconfitta, riacquistiamo consapevolezza e gioia per i “piccoli-grandi” successi, facciamo crescere le nuove generazioni senza seconde squadre, trasmettendogli l’amore per la nostra maglia e la nostra città.

Di quest’anno, personalmente, conserverò i ricordi dei derby contro il Catania, sia quello di andata che quello di ritorno. All’andata mi sono illuso che il campionato potesse essere migliore di quello che poi effettivamente è stato (si concluse 1 pari), fu davvero un bellissimo sabato notte. Il ritorno è la sintesi, invece, di quello che vivo per questa maglia: l’attesa per la trasferta, la voglia di metterci la faccia, la sofferenza, la gioia folle, il ritorno a Palermo cantando a squarciagola con la sciarpa al collo sulla tangenziale di Catania... E quei tre gol. Questo è il pallone, questo è l’Amore per una squadra di calcio. E c’è chi dice sia solo un gioco…

In questa maledetta stagione siamo morti e risorti (calcisticamente parlando) almeno una decina di volte e, facendo il "gioco" dei più consumati ragionieri, con tabelle e conti, ognuno di noi ha capito che forse sarebbe bastato un piccolo sussulto in più per poter fare un gioco migliore. Ho capito, ancora una volta, che da questa malattia non si può guarire (addirittura si può solamente "peggiorare"). L’Anatema è compiuto e chi gioisce di tutto questo non sa, o fa finta di non sapere, che le difficoltà cementano l’Amore e la Passione e che oggi molto più di ieri sono felice di avere dentro, come un fuoco.

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