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Una Sicilia che non si difende: dura verità che fa male

Scoppiano le polemiche in merito alle affermazioni di Roberto Vecchioni che "regala" agli studenti una versione poco romantica della Sicilia, una terra che non si difende

  • 4 dicembre 2015

Roberto Vecchioni arriva a Palermo per partecipare ad un incontro all’Università e scoppia il caos per la diagnosi troppo diretta, troppo severa nei confronti di un’isola, la Sicilia, che a suo dire vanta tante bellezze ma non quella culturale.

Il web condanna le affermazioni troppo dure accusandolo di un razzismo nordico, e allora la domanda sorge spontanea: di colpo l’apparizione di Vecchioni ha suscitato nei palermitani quel senso di orgoglio, di appartenenza e di protezione di una terra che quotidianamente è bistrattata e considerata senza speranze?

Sembra che la frase del cantautore abbia risvegliato quel sentimento di rabbia che si prova quando la donna amata, in questo caso la Sicilia, subisce un torto. Fa onore, questo sì, ma perché negare di essere affetti, come cittadini, di quel sostanziale e perenne pessimismo che costringe ad una costante lamentela?

L’analisi di Vecchioni ha sconvolto la sala di Ingegneria, dove si è svolto l’incontro, che in breve tempo si è quasi svuotata, soprattutto per una frase in particolare. Probabilmente la verità fa male ed è più sofferta se proviene da un cittadino del nord che si "permette" di sputare sentenze.

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«Sinceramente no, io non amo la Sicilia che non si difende. Non amo la Sicilia che rovina la sua intelligenza e la sua cultura. Che quando vado a vedere Selinunte, Segesta non c’è nessuno e devo impararlo da solo cosa c'è lì. Non amo questa Sicilia che si butta via. Mi dà un fastidio tremendo che la Sicilia non sia all’altezza di se stessa.»

Così avanza la sua personale visione della Sicilia e nasce spontanea una considerazione di carattere "realista": cosa c'è di contestabile? È vero, intrattenere un pubblico di studenti che vivono quotidianamente i disagi di un'isola e una città che "non si difende", forse non è corretto. Come mettere il dito nella piaga. Forse, ammettiamolo, proporre questa analisi ad un incontro su come "Educare oggi" è, in sintesi, controproducente.

Ma cosa significa parlare di cultura a Palermo? La cultura è, per la città, una costante sfida che rischia e ottiene spesso una sconfitta. Al di là della scarsa utilità dei concetti e della presunzione di Vecchioni, ogni giorno facciamo i conti con una povertà culturale che comprende criminalità, abusivismo, violenza, e che ci proponiamo di combattere.

È inutile che la Sicilia si mascheri dietro al fatto di avere il mare più bello del mondo, non basta, dice ancora Vecchioni. Perché non prendere il suo punto di vista come un monito al cambiamento? Perchè non farne nascere, invece, un sentimento di rivalsa per combattere quella fama così pessima della Sicilia che oltrapassa fastidiosamente i confini?

Conclude questa riflessione con una frase tratta dal libro di Roberto Alajmo "Palermo è una cipolla" che dall’alto della sua palermitanità racconta come agli occhi di un viaggiatore la città rischia di apparire e della tendenza pessimista del palermitano medio, tendenza in cui indiscutibilmente ci si riconosce e che non spiega le accanite polemiche nate oggi sulla versione sfacciatamente realista di Vecchioni.

«Viaggiatore appena arrivato, queste cose devi saperle; di modo che quando ti racconteranno del tipico pessimismo isolano tu sappia che è un pessimismo autoproducente. Un pessimismo compiaciuto che si nutre di se stesso fino a diventare ricerca sistematica del pessimo. (...) Più ti concentri, più ti sforzi di immaginare come possano peggiorare le cose e più le cose riusciranno a peggiorare sul serio.»

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