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"Švanda dudák" di Weinberger in prima italiana al Teatro Massimo

  • Teatro Massimo - Palermo
  • - Palermo
  • 26 ottobre 2014 (evento concluso)
  • 17.30
  • da 10 a 125 euro
  • Informazioni al numero 091.6053580

“Švanda dudák” (“Svanda il suonatore di cornamusa”) di Jaromír Weinberger (1896-1967) debutta in prima italiana al Teatro Massimo di Palermo in un sontuoso allestimento della Semperoper di Dresda. Il libretto è in ceco con sopratitoli in italiano. Sul podio dell'Orchestra del Teatro Massimo, Mikhail Agrest, regia di Axel Köhler, scene di Arne Walther, costumi di Henrike Bromber, coreografo e assistente alla regia Gaetano Posterino; il Coro (diretto da Piero Monti) e il Corpo di ballo del Teatro Massimo.

Švanda – celebre suonatore di cornamusa – e la moglie Dorotka – simbolo della dolcezza e della fedeltà – vivono felicemente in campagna. Il loro idillio è rotto dall'arrivo di Babínský – celebre ladro gentiluomo – che, invaghitosi di Dorotka, persuade il musicista ad abbandonare la moglie e partire con lui all’avventura: unico bagaglio la cornamusa, strumento simbolo della nazione ceca. I due si dirigono verso il regno della regina Cuordighiaccio malata di malinconia: la cornamusa di Švanda suona una polka che risolleva dal dolore Cuordighiaccio, al quale chiede a Švanda di sposarla; l'uomo esita ma poi, sedotto dall’idea di diventare re, finisce per accettare e bacia la regina nel tripudio generale.

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Lo stregone responsabile della miseria del regno arriva portando con sé Dorotka per smascherare l’infedeltà di Švanda. L'aria d’amore della giovane fa infuriare la regina che la condanna a morte; Švanda allora si offre di morire al posto dell’amata e lo stregone coglie l’occasione per far imprigionare entrambi. Come ultimo desiderio, Švanda chiede di suonare la cornamusa ma si scopre che lo strumento è stato rubato; anche la scure del boia è stata rubata, impedendo così l’esecuzione.

Il ladro è Babínský, che giunge trionfalmente per salvare la situazione. Scampato il pericolo, Dorotka ritorna tra le braccia di Švanda il quale, abusando della sua buona sorte, giura di non aver mai baciato la regina e azzarda con bella faccia tosta: “mi portasse via il diavolo se mento!”. E con queste parole sprofonda negli inferi. Il secondo atto è ambientato negli inferi. Il diavolo, avvilito dalla noia, chiede a Švanda di intrattenerlo con la cornamusa, ma egli si rifiuta limitandosi a prestargli lo strumento: il diavolo è capace solo di interpretare una versione dissonante della polka di Švanda (chiara ironia Weinberger sull'avanguardia).

Ma il diavolo riesce a raggirare Švanda impossessandosi della sua anima. Ancora una volta è Babínský a risolvere la situazione: il ladro e il diavolo si giocheranno l’anima del musicista a carte e il lieto fine è d'obbligo come in tutte le favole.

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