"Una ballata alla fine": il crollo di un'epoca al Teatro alla Guilla
Va in scena al Teatro alla Guilla, venerdì 31 marzo e sabato 1 aprile alle 21, lo spettacolo "Una ballata alla fine" di e con Valerio Strati. Il crollo di un'epoca, la fine di un periodo storico in cui si pensava che grazie al progresso tecnologico tutto sarebbe stato possibile. Questo è il filo conduttore dello spettacolo, liberamente ispirato al testo "La fine del Titanic" di Hans Magnus Enzensberger.
Ed è appunto il Titanic, gigantesco transatlantico partito da Southampton nel 1912 e diretto a New York, che diventa simbolo di una fine. Inaffondabile, come si diceva allora, urtò invece contro un iceberg e si spezzò in due, inabissandosi nell’Oceano.
Dei circa 2000 passeggeri morirono 1600 persone, la maggior parte di terza classe. E ancora oggi l’Uomo ripercorre lo stesso errore: insegue un progresso che spesso è sinonimo di rincorsa al profitto e diventa causa d’autodistruzione.
Un’autodistruzione che colpisce chiunque, ma maggiormente i più deboli, gli indifesi e i poveri del mondo. Così, come un secolo fa, questa fine si ripete. Non una volta sola e per tutti, ma un po’ per volta, a rate, a pezzi e bocconi, in tempi e luoghi diversi.
La scrittura è poetica, cruda, astratta e concreta. Lontana dalla ricerca di una "facile emotività", la parola, a tratti, lascia spazio alle immagini video che, apparendo come ricordi del protagonista, descrivono l’atmosfera della nave prima della tragedia. Le musiche, astratte e rarefatte, non assecondano il racconto o le immagini.
Ed è appunto il Titanic, gigantesco transatlantico partito da Southampton nel 1912 e diretto a New York, che diventa simbolo di una fine. Inaffondabile, come si diceva allora, urtò invece contro un iceberg e si spezzò in due, inabissandosi nell’Oceano.
Dei circa 2000 passeggeri morirono 1600 persone, la maggior parte di terza classe. E ancora oggi l’Uomo ripercorre lo stesso errore: insegue un progresso che spesso è sinonimo di rincorsa al profitto e diventa causa d’autodistruzione.
Un’autodistruzione che colpisce chiunque, ma maggiormente i più deboli, gli indifesi e i poveri del mondo. Così, come un secolo fa, questa fine si ripete. Non una volta sola e per tutti, ma un po’ per volta, a rate, a pezzi e bocconi, in tempi e luoghi diversi.
La scrittura è poetica, cruda, astratta e concreta. Lontana dalla ricerca di una "facile emotività", la parola, a tratti, lascia spazio alle immagini video che, apparendo come ricordi del protagonista, descrivono l’atmosfera della nave prima della tragedia. Le musiche, astratte e rarefatte, non assecondano il racconto o le immagini.
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