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Il borgo di Sant'Ambrogio rivive attraverso un vecchio frantoio: la scommessa di Giovanna

Un progetto, che parte dal basso, di promozione a valorizzazione del territorio intorno al borgo marinaro della Sicilia. Un'avventura che parte da una chiave appesa al muro

Giovanna Gebbia
Esperta di turismo relazionale
  • 28 aprile 2022

Giovanna infila la chiave nella toppa che cigola come accade in tutte le vecchie porte che hanno una vita di infinite aperture e chiusure.

Varchiamo la soglia del vecchio frantoio avvolto nell’ombra dove filtrano i raggi di un mattino assolato che riscalda i vicoli del piccolo borgo di Sant’Ambrogio a due passi da Cefalù, un gioiello affacciato sull’azzurro del Tirreno e aggrappato alla scogliera che guarda verso l’orizzonte marino, poche case oggi diventate anche da vacanza, recuperate per dare ospitalità e che unite alle abitazioni dei residenti formano una deliziosa scenografia colorata: vicoli e piccoli cortili che si nascondo dietro gli angoli delle case, ovunque fiori e fioriere, balconi colorati e ceramiche che decorano gli scorci davanti ai quali passiamo in un silenzio profumato di brezza marina e le prime infiorescenze della primavera alle porte.

Difficile pensare che Giovanna da li fosse quasi fuggita per trovare futuro altrove dopo la laurea in lingue e ancora prima partita per l’ERASMUS in quella Germania lontanissima dalla cultura del vivere siculo.
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Eppure è andata cosi, il suo racconto colorato di parole appassionate si mescola a quello silenzioso del luogo protetto dai muri impregnati di quell’odore acidulo e aromatico che in decenni di molitura si è stratificato sotto l’intonaco bianco calce.

Mentre parla tutto quello che la sua narrazione racconta lo si può immaginare: «possiamo immaginare uomini e suoni che si alternano tra chili di olive e litri di olio, incontri tra chi portava il raccolto e chi lo moliva, contrattazioni e discussioni ma anche amicizia e scambio di una comunità contadina raccolta in questo vicolo fermi davanti al portone di ferro per un lasso di tempo che rappresentava la vita economica di un mondo minuscolo».

Il frantoio non è più attivo ma la sua anima è risorta con lei, si è riaccesa tra gli oggetti che lei ha rimesso a posto, recuperato e ordinato in una collezione che non è solo arredamento o allestimento ma è racconto e narrazione di una storia del legame tra l’uomo e la terra.

«L’ulivo è tra le piante metafora dell’umanità, simbolo di pace e di comunità - dice Giovanna -, di unione e nutrimento intorno al quale si è fondata la civiltà del Mediterraneo con i suoi riti e le sue sacralità, un culto oltre la semplice cultura dentro la quale oggi mi ritrovo non in senso religioso, ma nel senso di famiglia, quella famiglia allargata dei borghi dove oggi, secondo me, si può sviluppare un nuovo modo di fare turismo, partendo dall’accoglienza che diventa uno strumento per fare scoprire l’anima di un luogo e il suo patrimonio che è nella sua storia, esattamente come qui dove non c’è solo la mia famiglia ma un mondo che oggi si può recuperare e rivivere».

L’angolo dedicato alle degustazioni è il posto dove si materializza il gusto per quella che lei chiama esperienza perché il senso del suo lavoro è questo, far provare una emozione che diventi ricordo.

Al centro una grande cariatide di ferro muta occupa la grande camera di lavoro: «questa - continua - era la grande pressa degli anni 60 con gli ingranaggi rimasti fermi e fissati nel tempo insieme alle anime degli uomini che formavano un tutt’uno, una unica macchina fatta di braccia e meccanica, che aveva sostituito il traino animale a mulo che girava il torchio fino a quando il cambiamento dei tempi e l’innovazione arrivarono anche qui. Era un vai e vieni continuo, una carovana di entrate e uscite, di attese per aspettare che le olive portate da ognuno venissero molite e riportato indietro l’oro verde che per ogni agricoltore rappresentava non soltanto la sua scorta ma anche la sua economia».

I dischi delle presse appesi ai muri sono diventati un arredo vivo al quale si associano le fotografie recuperate dalle quali si affacciano visi stanchi di fatica, scene di lavoro che rappresentano la fatica ma anche i sorrisi della piccola felicità brindata con un bicchiere di vino alzato insieme.

Una carrellata di eventi, di momenti fermati nel tempo che lei ha messo uno dietro l’altro e ricomposto come un puzzle di pezzi che si erano sparsi qua e la, disordinati e dimenticati nelle pieghe di una storia che sembrava sepolta che lei ha riesumato da un passato in cui crede unica via per generare nuovo futuro, opportunità e economia senza inventarsi nulla, ma utilizzando le risorse reali che hanno solo bisogno di essere bene organizzate.

La sua Sant’Ambrogio riemerge e rivive rinnovata dalla volontà di fare di questo borgo una piccola meta turistica, una destinazione dove arrivare e da qui conoscere i dintorni, le tradizioni la cultura di un mondo antico fatto di tante sfaccettature da rimettere a posto, un piccolo centro di gravità che accogliente che ha rinnovato la sua capacità di relazione, un posto bello e unico per restare nell’ombra e meta solo per una stagione estiva.

Così inizia la sua avventura, riprende la chiave appesa al muro e riapre il portone di quella vita che decide di riportare alla luce e un giorno dopo l’altro rimette in piedi le cose togliendo quello strato di polvere e di abbandono che aveva opacizzato questo luogo per far rientrare quella stessa luce che adesso illumina i muri bianchi di calce e di riflesso fa brillare le cose al suo interno.

La sua vita è chiusa in quel giro di chiave che si riapre su un mondo tra passato e presente dentro uno scenario nel quale è nata e cresciuta.

Qui si sono riannodati i fili tra se stessa e le sue radici ricominciando daccapo, da quelle origini di famiglia che aveva chiuse nel cuore e come questa chiave, ha riaperto una porta sul passato diventato quel presente sul quale lavora ogni giorno.

Condurre dentro gli uliveti e spiegare le cultivar, le loro differenze e la coltivazione fino alla raccolta e la molitura per chiudere un cerchio dentro il quale inserire percorsi d’arte di cultura, di scoperta e di esperienza e di ospitalità nella dimensione di quella lentezza che è parte integrante di una cultura mediterranea e quindi anche Siciliana, della quale lei restituisce una bellissima e autentica interpretazione.

Una cultura sulla quale Giovanna sta investendo tutto il suo tempo e le energie che utilizza per cercare artigiani, manifatture, mestieri, luoghi dei dintorni dove condurre gli ospiti di un progetto di promozione a valorizzazione del territorio intorno al borgo marinaro.
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