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Il digestivo siciliano dall'effetto afrodisiaco: quello che non sai sull'acqua "vugghiuta"

Si presume che il "canarino", detto "acqua vugghiuta", risalga al tempo dei Greci. Secondo un racconto mitologico l'aggiunta di un po' di vino lo renderebbe eccitante

Balarm
La redazione
  • 20 gennaio 2021

Il "canarino " o "acqua vugghiuta"

Le feste natalizie sono terminate ormai e, tra abbuffate e pranzi sovrabbondanti (al di là delle restrizioni suggerite per il contenimento del Covid-19), almeno una volta tutti avremo fatto ricorso, sperando di alleggerire lo stomaco, al rimedio casalingo principe della tradizione siciliana, il “canarino”.

Il nome non è poi tanto di fantasia ma deriva da quel colore pallido giallo, quasi da snobbare per la sua apparente delicatezza ma dall’efficacia sorprendente, che l’acqua assume durante la preparazione di questo semplice intruglio.

Nella tradizione contadina, infatti, il canarino è chiamato banalmente “acqua vugghiuta”.

Ci sarà un motivo per cui questa bevanda - che si presume risalga al tempo dei Greci - è arrivata fino ai giorni nostri.

La ricetta è semplicissima. Basta far sobbollire un poco d’acqua, alla quale si aggiungono scorze di limone, una foglia di alloro (il tutto in proporzione) e un cucchiaino di zucchero. Secondo voci di popolo - le più veritiere - si dovrebbe servire accompagnata dalla frase “vivi ca ti passa tuttu”.
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La tradizione si sa supera scienza e natura ma se questa ricetta viene sostenuta, diciamo così, anche dal LUDUM, il Museo della Scienza di Catania un fondamento di oggettività ci sarà.

Al di là dello scherzo - che poi è tutto verissimo basta provare per verificare - l’unione delle proprietà del limone con quelle dell’alloro - e nei casi più ostinati si può aggiungere anche un pizzico di bicarbonato che favorisce il ph basico dello stomaco - fanno il miracolo, accelerando le digestioni più difficili.

E parlando con i termini della scienza sono l’amara cinarina del limone e le altre sostanze battericide a fare la differenza.

Come ci hanno insegnato i nostri nonni, infatti, un limone, agrume per eccellenza, va portato sempre con noi perché può essere utile in qualsiasi momento.

Grazie alla presenza degli olii essenziali, con proprietà antibiotiche, fungicide e carminative per il sistema nervoso, il loro estratto è impiegato nell’industria farmaceutica nella preparazione di medicinali stomachici e di tonici amari.

Ma del limone non si butta via niente: la parte bianca, spugnosa, contiene la pectina (regolatore delle funzioni intestinali e antagonista del “colesterolo cattivo”) e i bioflavonoidi, utili per la circolazione venosa e la salute dei capillari (venduti in compresse o gocce nei banchi delle farmacie).

Anche l’alloro, di certo, svolge una funzione importante. Non a caso si usano le corone di alloro, simbolicamente, per rendere omaggio a un momento importante.

Questa pianta della macchia mediterranea contiene un olio essenziale (composto da geraniolo, cineolo, eugenolo, terpineolo, fellandrene, eucaliptolo, pinene) dalle proprietà aperitive, cioè stimolanti dell'appetito, digestive e carminative. Olii utili anche nel trattamento delle coliche, in presenza di meteorismo o aerofagia.

Un pizzico di zucchero poi addolcisce, e non guasta, il tutto.

Ma c’è anche una storia, legata a figure mitologiche, che aggiunge un pizzico di euforia a questa apparente blanda bevanda.

Si racconta infatti che il “canarino” - in una versione “corretta” - sia stata offerta dalla regina Climene a Dafni, sposo della ninfa Echenaide, figlia della temibile Era. La regina, infatti, avrebbe aggiunto un po' di vino al canarino sperando negli effetti afrodisiaci di questo ingrediente fuori ricetta.

Pare infatti che l'acqua vugghiuta mischiata al vino siciliano sia un afrodisiaco incredibile: una volta bevuto l'intruglio Dafni si scordò di moglie e suocera e si scatenò nell'arte amatoria con la regina, scatenando le ire della suocera Era che, per punizione, lo accecò.

Il mito racconta che il povero Dafni, il creatore delle poesie bucoliche, trascorse tanti anni tra le campagne siciliane a cantare il proprio dolore senza trovare sollievo, fino a gettarsi da una scogliera, nei pressi di Cefalù.

Ad avere pietà di lui furono gli dei che lo trasformarono in una rupe.
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