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In Sicilia c'è un ponte-acquedotto: ha il nome di un principe, crollò per un'alluvione

Ancora oggi, attraversando la strada statale 121, è possibile vedere i ruderi di quest’opera che, nonostante la sua maestosità, non poté godere di grande fortuna

Viviana Ragusa
Graphic designer
  • 3 novembre 2023

Ogni giorno compiamo delle azioni apparentemente banali come aprire il rubinetto, cuocere la pasta e fare la doccia. Se oggi diamo per scontato il fatto di avere a disposizione l'acqua nei nostri appartamenti è soltanto grazie a secoli di studi e sperimentazioni.

In epoche passate, la motivazione principale per la creazione di impianti che favorissero la distribuzione dell'acqua era la coltivazione.

Fu proprio per questo che, negli anni '60 del '700, Ignazio Paternò-Castello fece costruire un grande ponte acquedotto che, ancora oggi, è conosciuto col nome del principe di Biscari.

Questa costruzione divenne una delle opere ingegneristiche più importanti della Sicilia, anche se in quel periodo non esistevano ancora laboratori di analisi, quindi l’acqua veniva analizzata soltanto prendendo in considerazione parametri come la trasparenza, la temperatura e la fonte di provenienza.

L’infrastruttura comprendeva un ordine principale, composto da diversi archi a tutto sesto che raggiungeva la lunghezza di 400 metri e un altro ordine lungo 740 metri. L’intero acquedotto era alto 41 metri e la sua costruzione costò 100.000 scudi.
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I lavori furono ultimati nel 1777 e l’acquedotto di Biscari divenne meta di curiosi e di turisti. Molte personalità rilevanti arrivarono in Sicilia per guardare con i propri occhi questa grande innovazione ingegneristica.

Il pittore e architetto francese Jean-Pierre Houel, ad esempio, inserì la sua opinione sul ponte siciliano all’interno del ‘’Voyage pittoresque des Isles de Sicile’’, un volume contenente diverse rappresentazioni di opere architettoniche presenti nel territorio.

L’artista descrisse l’acquedotto con queste parole: ‘’Egli [il principe] ha fatto costruire un acquedotto che per ardimento e dovizia è degno di rivaleggiare con quelli romani.

Si tratta di una costruzione di utilità immensa che tanto più è costata al generoso Principe in quanto ha dovuto superare difficoltà di ogni genere".

Nonostante il carattere innovativo e l’apprezzamento anche fuori dai confini siciliani, l’acquedotto di Biscari non ebbe molta fortuna. Soltanto quattro anni dopo il completamento dei lavori, l’infrastruttura crollò e trascorsero dieci anni per la completa ricostruzione.

Secondo lo storico Salvatore Petronio Russo, le cause del cedimento furono il vento e l’attività sismica. Infatti, per scongiurare un altro crollo, i lavori vennero affidati all’architetto catanese Salvatore Arancio, che optò per una struttura più pratica e moderna, rinunciando all’aspetto meramente estetico dell’opera.

I lavori per il nuovo acquedotto furono ultimati nel 1791 con un sistema di conduzione dell’acqua che venne utilizzato per diversi decenni. L’autore della nuova struttura era un visionario, spesso criticato dai tradizionalisti.

Proprio per questo, la nuova costruzione da lui progettata ricevette molte critiche e in tanti ritenevano che non avrebbe mai funzionato.

In base a una storia tramandata oralmente, il giorno dell’inaugurazione del nuovo acquedotto di Biscari, poco dopo l’immissione, si notò che l’acqua non arrivava nella contrada Ragona e questo intoppo diede luogo a numerose critiche nei confronti di Salvatore Arancio.

Sopraffatto dall’umiliazione, l’architetto decise di togliersi la vita, senza sapere che poche ore dopo l’acqua sarebbe giunta ovunque in abbondanza, proprio come aveva progettato.

Il ponte di Biscari rimase intatto per diverso tempo, ma negli anni ’30 del ‘900 la parte centrale dell’infrastruttura crollò a causa di un’alluvione. In seguito, quella porzione venne ricostruita con un grande arco in cemento armato.

Ancora oggi, attraversando la strada statale 121, è possibile vedere i ruderi di quest’opera che, nonostante la sua maestosità, non poté godere di grande fortuna.
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