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Indossati dal re e famosi in tutta Italia: Palermo e i gloriosi cappelli dell'Ottocento

A metà dell'800 a Palermo si contavano decine di cappellai i cui affari e botteghe si distribuivano tra l'allora via Toledo (oggi Corso Vittorio Emanuele) e via Maqueda

  • 28 febbraio 2021

A metà Ottocento a Palermo la gente amava indossare i cappelli. Infatti, si contavano decine di cappellai i cui affari e botteghe si distribuivano tra l'allora via Toledo (oggi Corso Vittorio Emanuele) e via Maqueda. Erano spesso dei piccoli negozi gestiti da artigiani assieme alla propria famiglia.

Solo alcune di queste attività potevano vantare una produzione intensa e continua, come la fabbrica di Cesare La Farina in via Toledo al piano terra di un palazzo signorile che faceva angolo con il vicolo Paternò. Grazie ai suoi commerci fiorenti "La Farina" si era fatto un nome e dopo l'Unità d'Italia era arrivato, persino, a diventare il fornitore ufficiale della Casa Reale.

Per questo nella vetrina del suo negozio esponeva orgogliosamente i vessilli dei Savoia, unitamente a quello della Trinacria. Come per dire: sono il cappellaio del re e sono siciliano. Inoltre, i cappelli di La Farina erano famosi in tutta Italia, dato che partecipavano a tutte le esposizioni di settore dell'epoca ricevendo anche numerose medaglie.
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Quindi, non si trattava soltanto di mero commercio, ma qualcosa di più che dava lustro alla nostra terra sicula. Nella fabbrica di La Farina lavoravano più di 20 operai, i quali percepivano una paga giornaliera che variava dai 50 centesimi alle 2,5 lire al giorno. La produzione annuale era pari a 7000 cappelli.

Non poco per l'epoca se pensiamo che il lavoro veniva svolto in gran parte a mano. Col passare degli anni, tuttavia, l'industria dei cappelli del capoluogo siciliano non riuscì ad adeguarsi alle richieste del mercato e alla crescente produzione italiana.

Infatti, lo scrittore Rosario La Duca nel suo "Palermo ieri e oggi" (Sigma Edizioni) riferisce che nel 1892 soltanto quattro fabbriche continuavano a produrre cappelli a Palermo, con una forza lavoro totale di circa 28 impiegati, di cui 24 operai della sola "azienda" La Farina.

Quindi, vi fu un regresso importante dovuto probabilmente al fatto che la maggior parte dei cappelli arrivavano dal nord Italia già belli e pronti per essere indossati.

Quindi, a fare le spese di questo cambiamento furono le manifatture locali e, di conseguenza, i poveri operai che dovettero cercarsi un altro lavoro. A fine dell'Ottocento in tutta Italia si era diffuso il cappello di paglia, indossato specialmente nel periodo estivo, per la sua capacità di far passare la brezza dalle piccole fessure e, allo stesso tempo, di proteggere dal sole.

La moda non tardò arrivare anche a Palermo e La Farina dovette importarli da Firenze per far fronte alla domanda, perché il suo laboratorio non era specializzato per questo tipo di produzione.

Un segnale, quest'ultimo, che denota la graduale e inevitabile scomparsa dell'attività di produzione artigianale abituata in passato a fabbricarsi i cappelli senza il ricorso a fornitori esterni.

C'è di più: le cose nei primi anni del Novecento registrano un corso inaspettato. Poiché i La Farina Napoleone e Vittorio erano rimasti celibi e Pietro, loro fratello, nonostante si fosse sposato non aveva avuto figli maschi. Così, nel 1936 i tre fratelli decidono di cessare ogni attività.

Questa decisione, probabilmente, fu dettata anche dai cambiamenti dei gusti legati alla moda. Infatti, i negozi di cappelli cominciarono a trattare altri tipi di abbigliamento e sembrò che in un attimo tutti si dimenticarono dei gloriosi cappelli di La Farina che i Savoia avevano elegantemente indossato e delle sapienti mani degli artigiani che li crearono.
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