LIBRI

HomeNewsCulturaLibri

La coscienza di Carla

  • 28 agosto 2006

Carla giovane pianista con crisi di panico, Livia madre-matrigna intorpidita negli affetti verso la figlia che rinnega e sembra odiare; due figure contrapposte attorno cui girano gli altri caratteristi: il padre soggiogato dall'amore per la moglie, il fratello di Carla, Dario, che la madre ama con la stessa abnegazione con cui disdegna la figlia e il dottor Centi che incarna l'intento parapsicologico della narrazione, tesa a dispiegare le nevrosi e le rimozioni che hanno fatto della giovane donna vittima materna e carnefice di se stessa.

Lo scenario policentrico si slabbra dai paesaggi urbani e quotidiani di Roma a quelli affettivi e trascorsi della casa padronale siciliana. Una famiglia dell'alta borghesia, in cui ventilano segreti e bugie, intrecci criminosi che trascinatisi sornioni, impereranno nell'epilogo della storia. Il riesumare ricordi è la chiave di lettura di questa scrittura saggiata in un tempo non databile ricco di flashback attraverso cui la protagonista, ripercorrendo esperienze vissute riesce a muoversi oltre quello stato di donna spezzata, divorziata non solo dal marito ma, dalla famiglia, dagli affetti, dalla passione per la musica e da un'affettività normale.

Adv
Il libro "Madre matrigna" (ed. Remo Sandron, 13 euro) è in bilico tra il lessico familiare de "La vita interiore" di Alberto Moravia e i temi psicanalitici del romanzo di Brian Weiss "Molte vite un solo amore", e sottolinea la forza ascritta nell'amore come lenimento capace di guarire l'afflizione della mente e dell'anima. La prosa di Silvana Lari, benché scarica di artifici letterari, riesce a ben dosare il linguaggio parlato e “chattarolo” (le conversazioni tra Carla e Aldo l'amico di chat) a quello più tecnico delle sedute psicanalitiche, inframmezzandolo con piacevoli tratti descrittivi e sfumature noir.

Le profusioni oniriche conducono tutta la narrazione e divengono storia nel travasamento psicanalitico all'interno della stanza del setting. La voce del dottor Centi guida Carla verso la rincorsa all'uomo nero che infesta il suo inconscio e in quella caccia alle streghe, incarnate simbolicamente di volta in volta nella figura del fratello, in quella della madre o di una mano, di un respiro, di un gioco antico usurpatori di infanzia e privi di un volto.

Avvincente sin dalle prime pagine è l'avverbiare che tributa il libro d'esordio di Silvana Lari, cinquantenne trapanese, già nota all'ambiente artistico e culturale palermitano (è stata direttrice della galleria d'arte moderna Agorà). La fotografia familiare, la quotidianeità avvizzita e avvilita, la paura della pazzia, l'incestuosa interiorità della protagonista nell'antonimia madre-matrigna, sono palpabili come istantanee scattate dalla penna e fissate nell'inchiostro.

Il libro sembra poter essere lo speaker corner dell'autrice, un angolo appartato, forse, nella sua biografia, in cui saggiare il senso di rivolta che serpeggia tra le pagine del romanzo, capace di dissacrare i fantasmi della propria esistenza, per poi gettare uno sguardo affranto ma non demorso sulle circostanziali regole della società, delle sue affezioni e dei suoi rimandi. Nel discernimento di questa emotività mutila e orfana, in terza persona, forse la Lari romanza di sé.

GLI ARTICOLI PIÙ LETTI