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Promettevano le nozze e poi sparivano: le truffe (romantiche) nella Sicilia di un tempo

Queste donne venivano abbandonate e derubate di tutto. Lui le diceva: "Aspettami qua, vado a prendere i bagagli" e non tornava più. La storia di Catina e Alfredo

Giovanna Caccialupi
Perito chimico industriale
  • 28 agosto 2023

Catina, aveva ormai trent’anni, aveva accudito prima i fratelli piccoli, e poi i genitori, si occupava della casa, dell’orto, del pollaio e nel poco tempo libero ricamava il suo corredo. Aveva cominciato che era una bambina, e quando ricamava era l’unico momento in cui era certa di pensare a se stessa.

Ogni punto, ogni gugliata, erano un atto d’amore. Era come costruire qualcosa per il suo futuro che immaginava sereno, accanto ad un compagno che sarebbe stato il suo totale sostegno, materiale e morale, ricompensa meritata, dopo tutti gli stenti della giovinezza.

Una aspettativa serena e confortante, attesa con rassegnato ottimismo, senza cercare senza forzare gli eventi. Un quotidiano cristallizzato nelle solite incombenze. Un mattino, mentre era in paese , un signore alto, elegante, la fermò per strada, per chiederle una via e mentre lui parlava lei si smarrì in quegli occhi, che le ricordavano un terso cielo di primavera.

Anche la voce, non aveva mai sentito una voce così. Un accento diverso. I modi gentili e garbati. Una volta a casa non ricordò nemmeno cosa avesse risposto, gentile o sgarbata. Era fuggita.
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Da quel momento in poi quegli occhi e quella voce occuparono la sua mente, al punto da sentirsi quasi intimorita. Dopo qualche giorno la bottegaia, le disse che un forestiero, aveva chiesto di lei, ansioso di conoscerla per chiederla in sposa.

Pari un gran signori, sempre eleganti e gentile. Sempri friscu du barberi e profumato
Ca, no canusci nuddu, fossi è cacchi ‘ngigneri da ferrovia ca controlla i stazioni
Du parrari, non è di cca
Prima di parraritinni, mi ‘nfummaiu, avi na casa affittata a punta du paisi. Paga l’affittu puntuali. Manteni a casa pulita e avvissata.
Io ci dissi ca tu si libira, ca si na carusa onesta e massara di casa
Ci pozzu diri ca macari tu si contenta di canuscillu?
Ciccamu mi ni nfummamu megghiu, cu è e chi fa…
Fussi bbonu pi ttia. Ti sistemi...
Annunca, quannu morunu to patri e to matri comu campi?


Catina si sedette sullo sgabello di ferra che la bottegaia teneva tra la porta e la bilancia per pesare i sacchi di farina, le gambe non la sorreggevano, il cuore pulsava violento nel collo, fino a farle mancare il respiro.

Quel cielo azzurro l’avvolse , facendole dimenticare qualunque prudenza.

Qualunque logica: lui un signore, forse ingegnere e lei contadina quasi analfabeta?

Quegli occhi, quegli occhi avevano chiesto di lei, di lei…. Quella voce… Il forestiero, rispettando le usanze del paese, contattò la famiglia informandoli che era rimasto incantato da Catina e che se lei fosse stata d’accordo l’avrebbe sposata e portata a vivere a Roma, e nel più breve tempo possibile: il suo incarico temporaneo in Sicilia volgeva al termine.

Disse di chiamarsi Alfredo De Fausti, 35 anni, stava svolgendo un controllo segreto sui lavori della ferrovia, figlio unico, suo padre era stato prefetto a Roma. Aveva perso la madre appena nato ed era stato cresciuto dalla zia nubile.

Il padre di Catina, istintivamente cercò di prendere tempo, aveva scritto ad un amico a Roma che avrebbe potuto cercare informazioni su questo ingegnere delle ferrovie. Ma l’amico stava perdendo tempo perché non riusciva a trovare riscontro ai dati forniti dall’ingegnere.

Ci voleva tempo.

Catina, intanto sebbene ancora incredula, non capiva la prudenza e la diffidenza del padre, al punto da vedere di nascosto l’ingegnere. Non aveva mai disobbedito e mentito, ma cominciò ad inventarsi di tutto per trascorrere qualche momento con quell’uomo che le raccontava tantissime cose e tutto quello che le raccontava le sembrava bello.

Non si stancava mai di ascoltarlo. Lui sapeva tutto. Le parlava di musica, di teatro, di stelle, di cinematografo, di fiori, di libri, di viaggi in luoghi lontani. Dei negozi enormi luccicanti dove trovi qualunque cosa e dove ci si può perdere. Sempre calmo, gentile ed allegro. Delicato, quando cercava di prenderle una mano per baciargliela con devozione.

Tenerissimo anche quando con audacia sempre crescente la abbracciava, stretta, trasmettendole un brivido che le restava addosso per ore. E durante le sue giornate non desiderava altro che poterlo rivedere per stare tra le sue braccia. Quell’abbraccio era un luogo, un rifugio di tenerezza e protezione.

Fino a quel momento la sua vita era stata ancorata ad abitudini e certezze che ben presto svanirono. Qualunque priorità perse consistenza. Tutto era stato sostituito da quella voce e da quegli occhi. I momenti che trascorreva con lui, venivano registrati dalla sua mente, in ogni minimo particolare.

Per riviverli fino a quando lo avrebbe rivisto. Qualunque cosa facesse avrebbe voluto condividerla con lui, sapere cosa ne pensasse.

E’ chistu l’amuri? - Si chiedeva Catina - pinsari tutto u jornu a na pissuna? Addrumintarisi cu so pinsero e svighiarisi cu so pinsero? sintirisi u cori cuntentu tutti i voti co pensu?

Tra una passeggiata e l’altra si ritrovarono nei pressi della casa di lui, che divenne la meta quotidiana di Catina. E non furono più solo abbracci, lentamente si trasformarono in qualcosa di più. Era primavera, e le sembrò diversa da tutte le altre, i colori, i profumi erano più intensi, tutto era pervaso da un senso di benessere.

Dormirci accanto, sentirne il respiro, il calore, la emozionava. L’amico del padre non riusciva a trovare informazioni su questa persona.

Il tempo passava, ed ad ogni incontro in Catina si consolidava la certezza di volere vivere per sempre con lui. Anche a costo di disobbedire al padre, lei che era stata sempre mite e remissiva: non riusciva a capirne la diffidenza, il bisogno di verificare la sua sincerità.

Perché avrebbe dovuto mentire? Un uomo così non può essere capace di menzogne. Perché poi? Anche Alfredo si risentì fino all’offesa dei dubbi che stavano ostacolando la loro felicità. Sostituì i momenti di tenerezza con la tristezza del doversi arrendere e perdere la donna amata.

Non c’era più tempo.

"Vieni via con me! Ti stanno ostacolando per egoismo, per non rimanere soli.. non vogliono la tua felicità, ma che rimani per assisterli… non vogliono perdere la serva…..e ti tolgono un futuro di felicità….. sperano che io parta senza di te…..vieni via con me…portiamoci tutto ciò che è tuo.

Anche un semplice straccio non lo devi lasciare…dopo non ti daranno mai ciò che è tuo…il tuo lavoro…il tuo corredo…non occorre che ti porti i vestiti, quelli te li comprerò io, nuovi, io fra una settimana devo presentarmi dai miei superiori. Mi assegneranno una nuova destinazione. Deciditi!!".

Catina pur non credendo all’opportunismo dei suoi familiari, scelse di seguire Alfredo perché non riusciva ad immaginare la vita senza di lui.

In tanti piccoli pacchetti, sistemò con cura il corredo, lo portò un po' per volta a casa di Alfredo, per ultime in una scatola di latta le poche cose d’oro, catenine bracciali,orecchini e un rotolo di banconote che negli anni aveva guadagnato ricamando su commissione.

Il giorno precedente alla partenza, Alfredo, entusiasmato e commosso per la partenza, affettuoso e grato della scelta di seguirlo: "Domattina vieni per le 10, a quell’ora sarà già arrivata l’auto che ho noleggiato, il tempo di caricare tutto".

Durante la notte Catina non dormì, dilaniata tra il dolore che avrebbe causato ai familiari e la gioia immensa di poter vivere con Alfredo. Alle 10, trovò, come sempre la porta aperta, ma non c’era più nessuno.

Dopo un tempo indefinibile, di disorientamento, in cui si sentì come fluttuare sospesa tra le stanze.

- Mu staiu nsunnannu….ora mi svigghiu e non è accussì…. Di Alfredo non era rimasto niente, niente… come non fosse mai esistito…

Nel dopoguerra, molte donne, furono vittime di quella che oggi potrebbe essere definita truffa romantica, uomini di bell’aspetto, cercavano, nelle periferie, nei piccoli paesi, donne nubili, magari con qualche difficoltà, familiare, intellettiva, fisica o affettiva, ma che avessero un buon corredo.

Allora, anche le donne più modeste avevano un corredo di biancheria, magari composto da pochi elementi, ma sempre impreziosito da ricami che eseguivano personalmente un punto dopo l’altro, a volte l’ immancabile acquisto dei tessuti e dei filati era frutto di grandi sacrifici e rinunce dell’intera famiglia.

Il copione era sempre lo stesso: dopo un paziente corteggiamento, la promessa di nozze imminenti, lui riceveva un telegramma che lo costringeva ad una partenza frettolosa per un improvvisa assunzione o lutto in famiglia.

La famiglia contraria alle nozze inconsapevolmente facilitava la fuga, senza dover ricorrere alla commedia della partenza forzata. Quasi sempre il forestiero destava diffidenza nei familiari.

La necessità di partire in fretta, per non separarsi, si decideva di sposarsi nella destinazione di lui, appena arrivati. Intanto bisognava portarsi più cose possibili, il corredo, appunto e anche qualche gioiello, e tutto il denaro disponibile.

Queste donne venivano abbandonate, in lontane stazioni di grandi città, o in equivoche pensioncine, lui le diceva "Aspettami qua, vado a prendere i bagagli", e non tornava più.

Donne che non erano mai uscite da sole, che non avevano mai viaggiato, che non sapevano leggere, che parlavano solo il dialetto, si ritrovavano senza un soldo, traumatizzate da un abbandono devastante.

Molte non sono mai ritornate a casa per la vergogna, quelle più ingenue venivano poi adescate da altri furbi (spesso mandati dal truffatore) e finivano in brutti giri, quelle più forti o tornavano a casa, o riuscivano ad adattarsi trovando un lavoro ed inventarsi una vita nuova. I corredi venivano poi venduti a caro prezzo in eleganti negozi del centro.

A Catina venne risparmiato l’abbandono dopo il viaggio, il ritrovarsi sola, senza un soldo in un mondo sconosciuto.

Ma non lo strazio di rendersi conto che in realtà Alfredo, quell’Alfredo innamorato, affettuoso, sensibile non era mai esistito.
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