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"Unni mi truvasti, o furriatu?!": dove si trovava e perché a Bagheria si chiamava così

Non ci si stupisce mai abbastanza della moltitudine di quartieri o zone in cui si possa suddividere una cittadina come Bagheria. Alcune ipotesi sull'origine del furriato

Sara Abello
Giornalista
  • 27 dicembre 2022

Bagheria (dettaglio di un'immagine di Opera propria, CC BY-SA 3.0)

«Unni mi truvasti, o furriatu?!».

Il baarioto incline ai pietismi non può non conoscere questo detto che in sè raccoglie una varietà di elementi tutti da scoprire e che ci fanno guardare con curiosità intorno a noi, o almeno dovrebbero.

Innanzitutto il luogo, uno di quelli che non ci sono più, o quasi: u' furriatu. Non ci si stupisce mai abbastanza della moltitudine di quartieri o zone in cui si possa suddividere una cittadina come Bagheria che, in fondo, non è propriamente una capitale del mondo per estensione territoriale.

Iniziamo proprio da questo, dove si trovava il furriato e a cosa si deve questo nome?

Tutta l’area retrostante alla chiesa Madre, quella compresa tra le vie Carà e Milazzo, procedendo quindi in direzione della via Città di Palermo, era detta u’furriatu.

Certamente non dovete neanche lontanamente immaginarla come appare adesso, con una sfilza di case che si susseguono una dietro l’altra a perdita d’occhio. Tanto per cominciare, oggi questa zona si identifica come “o’ Supercinema” per il nome del cinema che proprio lì è sorto, divenendo in anni più recenti la prima multisala della cittadina.
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Ma perchè chiamare la zona proprio “furriatu”?

Il termine deriva ovviamente da “furriare”, quindi “girare” in dialetto siciliano...nessuna rotatoria ai tempi dei carretti ovviamente, ma un ampio spiazzo, detto appunto “o’ chianu” (il piano), dove i bambini andavano a giocare proprio per la sua conformazione ampia e pianeggiante.

Una sorta di area circolare delimitata e che, solo con la costruzione del Supercinema risalente agli anni ‘60, vide l’aprirsi verso l’attuale via Basile, chidda ra puosta per intenderci. In quella occasione nacque la via città di Palermo che collega "i lannari" alla parte più bassa della cittadina, quindi la via Dante Alighieri che poi in un continuum circolare con via Mattarella, via Papa Giovanni XXIII e via Roccaforte riporta sino al centro storico di Bagheria, nni Palaunia.

Devo dirvi la verità però, a me la storia del piazzale chiuso di forma circolare non convince come unica spiegazione. Sarà che la curiosità è fimmina, sarà che la mia è ancora più elevata e insaziabile...però anche se colgo del potenziale fondato in questa idea, mi viene naturale pensare che ci possa anche essere dell’altro.

A tentarmi più che altro è proprio questo modo di dire così piatuso che amiamo usare... eh sì, perchè quando vogliamo suscitare la gentilezza, ma soprattutto i sensi di colpa dell’altro, gli chiediamo se ci ha trovato ‘o furriatu?!

Qui entra in gioco la presenza, come una sorta di maestoso ingresso dell’area del furriatu, della Chiesa Madre. Perchè mai vi starete chiedendo! Ma se proprio lì, in prossimità della chiesa, o forse proprio alle spalle, vi fosse stata in un passato ormai lontano una ruota degli esposti?

Uno di quei tristi luoghi dove le madri in difficoltà erano costrette a lasciare i loro figli, ancora in fasce, per l’impossibilità di crescerli. Molti anni dopo proprio alla chiesa Madre fu creata una culla per la vita che si potrebbe definire una versione più "moderna" di queste antiche strutture circolari, in legno, di cui le chiese erano sovente fornite.

Da qui la frase che prima vi citavo, come a voler dire che si viene maltrattati come avveniva in passato con i "trovatelli" del furriatu. Questo tanto per darvi l’idea della vena melodrammatica di noi baarioti.

Purtroppo di testimonianze che avvalorino questa eventuale ipotesi, come del chianu che furriava, ma soprattutto che rendano lampante il nesso con questo modo di dire tutto made in Bagheria, non ce ne sono pervenute.

Più ci penso però, e più mi sembra plausibile. Del resto, sia per la datazione che per il significato di questa “usanza” che pure ha avuto il merito di salvare tante vite, è improbabile che se ne conservino tracce nel tempo, a futura memoria di uno spaccato molto diffuso nel sud Italia fino a non tantissimo tempo fa.

Ci vorrebbe in nostro soccorso un lettore con "un certo quantitativo di anni" sufficienti a saperne di più, capace di tramandarci uno di quei racconti non felici, ma che hanno comunque costituito un pezzo della storia del meridione e del nostro paese per intero.
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