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Vicino a Palermo c'è il Castello dell’Emiro: cosa resta di (quasi) mille anni di storia

Da semplice torre saracena fino a diventare una vera e propria fortezza. Poi lo smantellamento e l'abbandono fino al restauro di un bene, patrimonio nazionale

Marco Giammona
Docente, ricercatore e saggista
  • 23 luglio 2022

Il castello dell'Emiro a Misilmeri

Tra i tanti misteri che caratterizzano la storia di Misilmeri un posto preminente è occupato da quello del castello dell’Emiro, o più specificatemene dalla sua rovina.

Il primo impianto costruttivo doveva essere una semplice torre saracena di avvistamento, utile a controllare il fertile territorio circostante della valle del fiume Eleuterio.

Che il castello vero e proprio sia stato voluto dall’Emiro Giafar II regnante in Sicilia dal 996 al 1018 è possibile, infatti il famoso geografo El Edrisi, nel suo "Libro di Ruggero" del 1154 parla di una "Dimora dell’Emiro (Manzil El Amir)" come "fortilizio tra i più ragguardevoli e valido castello, con copie d’acque, campi e terre da seminare", posto a sei miglia da Palermo, in linea con quella politica secondo cui gli arabi attuarono in Sicilia un'importante opera di organizzazione e popolamento del territorio che fu poi mantenuta dai Normanni.

Transitato nel XIV secolo alla proprietà dei Chiaramonte, il fortilizio assunse dimensioni sempre più considerevoli, grazie alle modifiche apportate: dalla costruzione di un’ulteriore cortina di mura concentriche al complesso fino alla realizzazione di una cappella privata dedicata a Sant’Antonio Abate.
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Fu soprattutto dal 1486, quando la baronia di Misilmeri fu venduta alla casata degli Ajutamicristo, che si raggiungerà il massimo splendore. Guglielmo Ajutamicristo, ricco barone pisano decise infatti di affidare l’incarico di restaurare ed ampliare il castello ad uno dei più famosi architetti siciliani del tempo, Matteo Carnalivari.

Il “Maestro di Noto”, fece arrivare esperti collaboratori dalla Sicilia orientale, e con la sua inconfondibile arte e tecnica, che ancora oggi si avverte negli eleganti decori superstiti, si adeguò al gusto dell’emergente classe politica siciliana, creando un modello di dimora fortificata in piena continuità tra la tradizione chiaramontana e la grande stagione del rinascimento italiano.

Dal XVI al XVIII secolo, i continui passaggi di proprietà baronali tra gli eredi della famiglia Del Bosco-Cattolica, che ne trascurarono sempre più la manutenzione, portarono il castello ad un lento ma inesorabile declino.

Negli anni si è voluto attribuire il suo disfacimento a possibili cedimenti strutturali causati dal tempo o a ipotetiche calamità naturali. Le testimonianze storiografiche e le fonti orali ci orientano invece verso una triste e alquanto cruda verità.

L’abolizione del baronaggio in Sicilia del 1812, che tolse ai nobili tutti i loro privilegi feudali, portò ad alcune tra le più importanti casate nobiliari siciliane gravissime perdite di potere ma principalmente di liquidità economica, che si ritorse nella mancata tutela dei loro beni, soprattutto quelli più onerosi di manutenzione e cura.

Già il fallimento di Casa Cattolica del 1769 e la successiva gestione sciagurata della famiglia Bonanno avevano portato il castello dell’Emiro ad un rapido degrado e abbandono.

Perfino il governo borbonico ne fece impietoso uso, occupandolo dal 1808 al 1815 con le sue truppe, adibendolo perfino a deposito di polvere da sparo.

Se poi si tiene conto anche della barbara uccisione nel luglio 1820 dell’ultimo Signore di Misilmeri D.Giuseppe Bonanno, crivellato da colpi di arma da fuoco lungo una trazzera di Bagheria, ci si rende conto di come anche la situazione sociale ormai fosse in piena degenerazione.

In un clima politicamente rovente e ricco di continue insurrezioni popolari contro l’opprimente regime borbonico, il castello dell’Emiro - ormai simbolo della sua tramontata potenza - si troverà di lì a poco al centro di oscure attenzioni da parte di alcuni cittadini misilmeresi, che trovarono in questo vuoto di proprietà una facile occasione di interesse.​

Fino al 1848, il castello, quasi del tutto abbandonato ma strutturalmente integro, aveva ancora le sue stanze in un discreto stato di stabilità, tanto che in quegli anni, i sacerdoti di Misilmeri se ne servivano per preparare i bambini alla loro prima comunione, come in una sorta di colonia estiva.

Dal 1850, l’imponente fortezza arabo-normanna che al suo interno disponeva di circa 24 ambienti, cappella privata e torre maestra, ormai libera da qualsivoglia interesse padronale e in stato di assoluto abbandono, inizia ad essere preda di continui sciacallaggi ad iniziare dagli arredi interni rimasti, per poi passare al furto di porte e anche balconi sottratti dalle finestre esterne.

Perfino il Barone Rumbolo fece bottino di tre ringhiere di ferro battuto, a pancia d'oca, per riporli nella sua casa in Corso Vittorio Emanuele, accanto alla via Trebisonda. Vennero asportati tutti i fregi e i decori artistici, ma ciò che ancor più grave, fu lo smantellamento dei tetti lignei e la demolizione delle mura interne e ed esterne del castello, che come una cava di pietra, servirono per fabbricare le case poste alle sue pendici.

Nel silenzio assordante delle autorità civili e militari dell’epoca, nell’arco di un decennio si cancellarono quasi mille anni di storia, riducendo il castello ad un cumulo di macerie.

Fino ai primi anni nel Novecento rimaneva ancora visibile parte dell’ultima torre merlata dell’ingresso, crollata del tutto durante il terremoto del 1948. Solo nel 1980 il castello dell’Emiro fu dichiarato Monumento Nazionale, e in seguito acquistato dall’Amministrazione Comunale, che nel 2009 ha affidato all'Architetto Gloria Martellucci l'incarico per la progettazione del restauro e messa in sicurezza.

Ciò che adesso resta del castello dell’Emiro, rimane lì a ricordarci della sua gloriosa storia, che la comunità nel tempo non ha voluto o saputo rispettare, al contrario di altre realtà siciliane che hanno tracciato nella salvaguardia del proprio patrimonio culturale un valore identitario.
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