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Di Luzio: linguaggi video e digital art

  • 21 settembre 2004

Sabato 18 settembre si è inaugurata, nella Sala delle Arcate dello storico complesso monumentale di Santa Maria dello Spasimo a Palermo “Stations. Betrayal, Sacrifice, resurrection”, la mostra dell’americano Raphael Di Luzio (curata da Ida Parlavecchio, è visitabile tutti i giorni fino al 10 ottobre dalle 9 alle 24, con ingresso libero), realizzazione di un progetto a cui l’artista ha lavorato nel corso di tutto l’ultimo anno catturando immagini tra Sicilia, Umbria e Stati Uniti.

Raphael Di Luzio nasce nel sud della California nel 1960. Studia pittura presso l’Università della Pennsylvania dove conosce il maestro Josef Albers. Prosegue la sua ricerca artistica indirizzandosi verso i linguaggi video e la digital art. Oggi insegna New Media all’Università del Maine dove ha realizzato l’Advanced Research Electronics Arts Studio, altrimenti chiamato “area 051”, che l’artista definisce così: “It is a specialized place for experimental research in New Media and Digital arts where a few select students and myself can explore an ongoing investigation into the crossover of art and technology.” Non è la prima volta che Palermo assiste ad un’installazione di Raphael Di Luzio. Già l’anno scorso l’artista aveva esposto la sua “Eucharist”, precedentemente esibita in Pennsylvania, presso i locali del Monastero di San Martino delle Scale. Sulla scia di questa continua ricerca estetica sul linguaggio digitale si colloca l’installazione “Stations”, nella quale i riferimenti al tema cristologico della passione sono un mezzo attraverso il quale esplorare problematiche legate all’individuo e alla sua esistenza, quali la pace, la guerra e l’ambiente. Attraverso un utilizzo lirico e pittorico del video, così come delle materie e degli elementi che costituiscono le sue installazioni, Di Luzio crea degli ambienti fortemente evocativi, nei quali ricerca digitale, riflessione spirituale, musica e gusto pittorico stabiliscono una fitta trama di suggestioni.

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All’interno della Sala delle Arcate, il visitatore sarà coinvolto in un percorso lungo un’asse longitudinale costituito da tre pannelli di vetro, a doppia lastra e intercapedine, riempita ogni volta da un diverso elemento: vino, latte, miele. Due video vengono proiettati da due differenti punti della sala. Uno attraversa il vino e l’altro il miele, per andarsi a incrociare nel terzo pannello del latte e creare una sintesi e quindi concettualmente un terzo video. All’ingresso della sala, una stoffa nera definisce il percorso assorbendo la luce. Prima di compiere il percorso i visitatori dovranno togliersi le scarpe; sul pavimento, ricoperto di farina bianca e petali di fiori rossi, rimarranno le impronte del loro passaggio. Vista, udito, olfatto vengono attivati e coinvolti in una percezione totalizzante dell’esperienza estetica. «Di qui – dice Ida Parlavecchio – l’esigenza  di presentare il lavoro non tanto, o non semplicemente, nei termini di istallazione, e la più naturale propensione a realizzare un video-contesto inteso come luogo di rinnovata coscienza percettiva».

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