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Cala il sipario sul teatro Ditirammu: la lettera aperta di Elisa e Giovanni Parrinello

Si sono spente le luci del Ditirammu: nelle prossime settimane ci sarà una conferenza stampa ma intanto le motivazioni, scritte di pugno, da Elisa e Giovanni Parrinello

Balarm
La redazione
  • 25 settembre 2017

Il Baglio di palazzo Petrulla, ingresso del teatro Ditirammu

Dalla mezzanotte di ieri sera, domenica 24 settembre 2017 si sono spente le luci al Ditirammu e prossime settimane i fratelli Elisa e Giovanni Parrinell0 comunicheranno le sorti del Teatro attraverso una conferenza stampa.

«C'è un tempo per tutto, c'è un tempo per amare, un tempo per soffrire, un tempo per crescere, un tempo per guardare, un tempo per ascoltare, un tempo per andarevia e uno per tornare. Ma c'è un tempo, quel tempo che vorresti non arrivasse mai, per andare via e non tornare più. Il Teatro Ditirammu chiude le porte, speriamo solo per poco anzi pochissimo tempo...quel tempo che basta a capire come proteggere il gioiello di papà e di mamma e di questa meravigliosa Città, dopo 22 anni di sacrifici e più di 100 anni di storia. Incrociamo le dita. Grazie a tutti, Elisa e Giovanni».

Scrivono queste parole sui social network i ragazzi, figli del fondatore del Ditirammu Vito Parrinello che si è spento all'improvviso lo scorso giugno.
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Proprio nella sua memoria è stata avviata durante l'estate la rassegna "Il Baglio di Vito" che ha coinvolto amici e pubblico a ondate. A nulla, comunque, è valso.

Infatti Elisa e Giovanni hanno voluto far calare il sipario sul Ditirammu, teatro che fondato da Vito Parrinello e Rosa Mistretta nel 1998 e da allora allestito nelle scuderie di palazzo Petrulla, alla Kalsa.

Il termine Ditirammu viene da Ditirambo: l'antichissima tecnica recitativa di origine greca che inneggia al dio Bacco e al vino.

Segue la lettera aperta scritta da Elisa e Giovanni:

Tutto è iniziato a Mozia, un piccolo isolotto di cui il primo antenato di Papà era il proprietario. Poi la comprò Whitaker, e noi tornammo sulla terra ferma. Il prozio ideó il Teatro Garibaldi e chi venne dopo fondò il primo gruppo folk siciliano “La Conca d’Oro”. Mentre la sera a cena, tra canzoni e poesie, si ospitavano personaggi come Giuseppe Pitrè e così via fino ad arrivare ai giorni nostri. La Famiglia Parrinello con in testa Vito, la sua amata Rosa e i figli Elisa e Giovanni.

Mille viaggi, canti musiche e danze della nostra terra ricercati e raccolti per tanti anni e raccontati in tutto il mondo: Nuova Zelanda, Cina, America, non basterebbe un giorno a dirli tutti. Negli anni ’90 non si poteva fare più questa vita, dovevano essere più costanti a scuola e mamma accusava un po’ di stanchezza. Era il 1995 quando papà decide di costruire il Teatro Ditirammu nello storico quartiere Kalsa a Palermo.

Oggi questo luogo è diventato un tempio della cultura popolare siciliana e fucina delle nuove generazioni, e chissà per quanto potrebbe dare questa speranza alla città. Lo dite voi, il Financial Times, lo dice il primo cittadino di Palermo, anche su Google c’è scritto.

Purtroppo questo non basta, negli ultimi anni pur di dare la giusta dignità agli artisti, ai dipendenti, alle migliaia di turisti che ogni giorno vengono a farci visita, e alle nuove generazioni, utilizziamo le risorse economiche di famiglia. Anche se questa è stata una nostra scelta, va bene fino ad un certo punto.

Quando nostro padre sedeva per ore ad aspettare il politico di turno, capitava pure che dopo ore di attesa neanche lo ricevessero, sai che rabbia. «Al diavolo, vado con i ragazzi della LapaTeatro a fare cappello, loro guadagnano qualcosa e io sono il nonno piú felice del mondo, altro che politica, affitto, tasse ed F24». Ci diceva sempre: «Io volevo solo suonare la chitarra e sentire vostra madre cantare».

Proprio in quel momento, realizza e scrive su una lavagna in ufficio: «1 OTTOBRE 2017 QUELLO CHE DOVEVO FARE L’HO FATTO».

Non si riferiva ad una singola questione, era stanco, la libertà e le aspirazioni artistiche dei suoi figli sono sempre state più importanti di un luogo fisico, anche se si parla del fiore all’occhiello di famiglia. Troppo stanco, troppa politica, anticamera e cose che con l’arte e il sentimento non c’entrano proprio nulla.

E allora facciamo quello che pensava di fare Papà, sospendiamo tutte le attività del Ditirammu: magari è vero Palermo non ha bisogno di noi. Troppa bile, qui rischiamo davvero la pelle, arte a costo della vita? No grazie.

Innanzitutto non riusciamo a sostenere i costi del Teatro. Non è una guerra alla pubblica amministrazione, alla quale tuttavia chiediamo coerenza rispetto alle tante e univoche espressioni di stima e riconoscimento dell’alto valore del Ditirammu, per la città e la cultura siciliana.

Spetta alla pubblica amministrazione trovare i modi per trasformare questo apprezzamento in sostegno e decisioni concrete che mettano in condizioni di vivere questo “Canto Museo Teatrale”.

Al nostro pubblico, agli amici, ai tanti artisti, agli assistenti ai collaboratori agli allievi, e alle nostre famiglie, chiediamo di starci vicino ora più che mai, tenere alta la tensione e l’attenzione sulle nostre vicende, sarà nostro dovere quello di tenervi informati con tutti i mezzi possibili.

Ieri sera con queste parole ha chiuso la stagione del Baglio di Vito, e da oggi le saracinesche saranno chiuse per un po’.

Abbiamo bisogno di capire se ci sono i presupposti per tenere aperto il “tempio” oppure farsi una nuova vita, magari in una nuova città. Al momento ci sentiamo di esternare il nostro malcontento dicendovi che siamo arrivati al limite, e con grande tristezza lasciamo pubblico, allievi e dipendenti a casa.

Dalla mezzanotte di ieri sera si sono spente le luci al Ditirammu, nelle prossime settimane comunicheremo, attraverso una conferenza stampa, quali saranno le sorti del Ditirammu e della “Palermo, Capitale dei Giovani”. Chissà se i giovani restano oppure se ne vanno.
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