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Da Pino Daniele all'album in palermitano: intervista ad Alessio Bondì

Alessio Bondì è l'autore di "Sfardo", album che ha appena compiuto due anni di vita. Fra le musicassette e il rapporto con Palermo il cantautore si racconta a cuore aperto

  • 10 aprile 2017

Si chiama “Sfardo” [strappo] e ha compiuto un anno: è l'album del cantautore palermitano Alessio Bondì, che parla di ricordi, di emozioni e di infanzia. E proprio dall'infanzia parte l'intervista al suo autore.

Inizio subito con una domanda personale: quando eri piccolo cosa ascoltavi in macchina, con i tuoi genitori? Chi ti ha influenzato musicalmente?
Ho dei ricordi selezionati perché ovviamente non è tutto quello che ascoltavamo: principalmente Pino Daniele, Celine Dion perché erano le cassette di mia madre [ride], Renato Zero. Poi c'erano delle compilation che ci faceva un ragazzo che smerciava le cassette contenenti anche pezzi dance: ascoltavo anche cose del tipo Energia, Fantasia Sexo Sexo Sexo [ride]. Non saprei dirti chi mi ha influenzato di più da bambino: i brani di Pino Daniele sono senz'altro stati quell'interruttore che ha fatto cambiare il mio modo di sentire la musica.

Parlando ancora dell'infanzia, in “Sfardo” è un argomento ricorrente. Quanto di te bambino c'è dentro questo album?
Moltissimo. So che in alcuni brani non si capisce se a parlare sia un bambino o un adulto che ricorda: è una posizione ambigua perché è quella di chi vuole ritrovarsi “bimbo” ad una certa età, comunicando con lo stupore che hanno proprio i più piccoli. Questa posizione consente di dire cose che i bambini forse non direbbero, con quello spirito d'avventura e di scoperta che li distingue.
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Curiosità: tu da bambino cosa sognavi di essere? Cosa volevi diventare?
Questa è una domanda un po' strana, perché... non lo so [ride]. Quando ero piccolo mi piaceva disegnare, per cui le persone che mi stavano intorno dicevano “Ah, gli piace disegnare, allora può fare l'architetto”. Non ero molto bravo e non lo sono neanche adesso, ma mi piaceva molto e dunque mi ripetevano che potevo fare l'architetto, perché gli architetti disegnano.

E adesso hai rinunciato a disegnare?
Non disegno così spesso, ma l'ho fatto in particolar modo quando scrivevo “Sfardo”. Ho condotto una ricerca personale molto profonda e molto forte sull'infanzia, che ha portato alla nascita delle canzoni quando scrivere non era un mestiere ma un'esigenza. Una cosa che mi ha aiutato in questo processo è stato riprendere la matita in mano, cosa che davvero non facevo da quando ero bambino.

Tu hai cantato in inglese, in italiano, poi hai dichiarato di essere arrivato al palermitano per istinto. Quanto di te sei riuscito a regalare al pubblico con questa scelta “di pancia”?
Una parte importante, perché è quella più viscerale. È la parte più condivisibile da un inconscio collettivo, perché viene filtrata da una lingua che ha quella ricchezza e quella violenza che va dritta al punto. È difficile che un concetto suoni finto se viene detto in palermitano.

Quindi il palermitano è una lingua profonda, più diretta?
Sì, e non sono io a dirlo. È lo stato delle cose: un concetto in italiano suona “finto” in maniera più facile, perché sebbene sia la nostra lingua e mi soccorra quando non so come descrivere qualcosa, è una lingua che è stata appiccicata sugli italiani. Con il palermitano si crea un'amalgama potente, perché ha a che fare con il linguaggio dell'inconscio. Se io avessi filtrato ciò che volevo dire in italiano, in inglese o in un'altra lingua che conosco, avrei comunque espresso il messaggio, ma in una lingua che non è la mia lingua interiore.

Fammi un riassunto: quante cose sono cambiate da quando hai dato vita a “Sfardo”?
È difficile fare un riassunto perché sono cambiate molte cose. Io sono cambiato tantissimo personalmente, musicalmente, artisticamente. Mi sento più libero sul palco, mentre mi sento più esigente da tanti punti di vista, in particolare nella scrittura.

C'è un aneddoto che hai vissuto durante i tuoi tour, che ti è rimasto particolarmente in mente?
Ho un ricordo molto commovente che risale alla serata al Teatro Biondo. Mia madre è venuta a salutarmi dietro le quinte e ci siamo abbracciati: quasi non riusciva a parlare per via dell'emozione, anche perché avevo ritagliato un momento a lei dedicato durante lo spettacolo e credo che non se lo aspettasse. È un ricordo forte che custodisco sapendo che l'esibirti e il regalare a qualcuno che ami qualcosa che va oltre i confini della vita comune è qualcosa che si può avere la possibilità ottenere solo quando sei un'artista.

Ci sono delle canzoni che ancora oggi suoni con il groppo in gola? Con quell'emozione che le h a fatte nascere?
Certo, sì. Io provo sempre a re-immergermi nelle emozioni che hanno fatto nascere le mie canzoni, così come provo a scoprirne di nuove attraverso quegli stessi brani. In spagnolo o in portoghese si direbbe che le uso come una “herramienta”, uno strumento. Ecco, per me le mie canzoni sono una ferramenta e colori, un luogo dove ci sono tutti questi strumenti che ti portano a capire, a creare emozioni nuove.

E con “Sfardo” che rapporto hai? C'è un brano in particolare a cui ti sei affezionato?
L'ho cantato tanto questo disco, così tanto che arrivavo ad un punto in cui m'abbuttava, perché ogni journu ogni juornu un po' essiri. Poi, durante quelle che dovevano essere le ultime date mi sono trovato a suonare ad un house concert a Torino. Un momento inaspettatamente intimo ed emozionante, che mi ha portato a pensare “queste sono le ultime volte che faccio questo spettacolo”, facendomi provare nostalgia. Così ho realizzato che “Sfardo” è a tutti gli effetti un compagno. Un compagno con cui ho viaggiato.
Per quanto riguarda il brano dopo il tour ti voglio dare una risposta che ti sorprenderà [ride]: è “Di Cu Si”, perché è la canzone cui le persone si sono più affezionate, ed è quella che aspetto di suonare durante i concerti, più delle altre.

Domanda banale: cos'hai in serbo per il futuro? Quando nascerà il nuovo album? Lo so, mi dirai “Che ansia!”
[ride] Le domande ansia! Per il futuro ho in serbo proprio il nuovo album, che stiamo finendo di registrare. Per quanto riguarda l'uscita, è prevista per l'anno prossimo. Ancora non esiste una data precisa, quindi non mi azzardo a indicare mesi o ad aggiungere altro, perché ogni cosa può cambiare. Quindi... non dico nulla, anche per scaramanzia!

Qual è il tuo rapporto con Palermo e con la scena musicale palermitana?
Il mio rapporto con Palermo è conflittuale, ma trovami un palermitano per cui il rapporto con la città non è conflittuale! Così nella normalità del conflitto, ci sono volte in cui non immagino di poter vivere in altri posti e volte in cui ne andrei senza tornare mai più [ride]. Abbiamo questo pendolo di Schopenhauer [ride] fra il non posso vivere senza di te e il... va ruompiti i cuorna! Da quando è uscito “Sfardo” io ho iniziato a stare di più a Palermo e vedo che la città sta cercando di rispondere, anche a livello amministrativo. Certo è un percorso lento, ma almeno sta iniziando ad aprirsi. Con la scena musicale palermitana sono in ottimi rapporti: siamo tutti amici o quasi, non ci sono piccolezze o meschinità, ci si da una mano a vicenda dove si può.

Ok, forza, ultima domanda, domanda simpatica e....
[ride] Frizzante?

Sì, dai, utilizziamo il termine frizzante. Se ti dovessi descrivere in due parole, quali useresti?
[facendo il verso] Allora, Solare...!

No, solare no!
[ride] Se mi dovessi descrivere in due parole... mh... malucarattiri... e...

So che vuoi tornare a “solare”, ma non te l'accetto!
[ride] No, in realtà ero da tutt'altra parte. Dopo malucarattiri vorrei mettere qualcosa di positivo ma non saprei, perché non mi voglio molto bene. Mettimelo tu l'altro. Uno l'ho messo io e uno lo metti tu.

E a questo punto, dopo un'intervista fatta di piccole confessioni, battute e sincerità, io metto genuino. Che è un complimento che pochi artisti meritano e che Alessio si porta a casa cu tutti i sintimienti.
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