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L'isola che non c'è: quando dal mare emerse il misterioso banco Ferdinandeo

Appare e scompare da millenni a largo delle coste siciliane, è l'isola Ferdinandea: una reale Atlantide mediterranea, rivendicata da tanti governatori e regnanti

  • 19 luglio 2017

Nel nostro Paese, il 1831 non fu di per sé un anno particolarmente ricco di avvenimenti: Giuseppe Mazzini passava dall’esilio alla fondazione della “Giovine Italia”, Giacomo Leopardi terminava la prima edizione de “i Canti” e Roma assisteva all’elezione di Papa Gregorio XVI.

La Sicilia, all’epoca sotto il Regno borbonico delle Due Sicilie, iniziava a conoscere un giovanissimo Ferdinando Carlo Maria di Borbone, che succedeva al padre Francesco I sotto il nome di Ferdinando II.

L’isola usciva da un periodo di insurrezioni che aveva provocato non pochi luttuosi eventi, ed iniziava ad incubare quel sentimento di ribellione che sarebbe sfociato in una decina d’anni nella famosa rivoluzione siciliana del 1848. Nella Sicilia sudoccidentale però, l’anno in questione fu scandito da ben altri moti: quelli della terra.

Nel mese di maggio del 1831 la terra iniziò a tremare nella zona di Sciacca allarmando gli abitanti e provocando qualche lieve danno. L’attività sismica crebbe settimana dopo settimana, tanto da avere un impatto negativo sulla popolazione che accolse senza alcuna allegria i festeggiamenti del 18 giugno per San Calogero.
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Le scosse però non venivano dalla terraferma. Nella giornata del 28 giugno 1831, i capitani di ben due vascelli, il Rapid e il Britannia, notarono che boati e rumori sordi provenivano da un tratto di fondale marino al largo di Sciacca.

Lo spettro dei fenomeni si ampliò notevolmente a partire dalla giornata del 2 luglio, quando alcuni pescatori saccensi riferirono di avere osservato “uno straordinario rimescolamento delle acque del mare” nei pressi della cosiddetta “Secca del Corallo”. Intorbidimenti, ebollizione delle acque di superficie, morie di pesci e odore di zolfo furono avvertiti anche il giorno 4 “per un tratto di mare di duecento passi circa” (almeno 400 metri).

L’8 luglio, il capitano Francesco Trefiletti, al timone del brigantino siciliano ‘Gustavo’, fu il primo a riportare la presenza di una colonna d’acqua alta circa 25 metri e di un vigoroso pennacchio di fumo fuoriuscire dal mare.

A quel punto fu abbastanza chiaro ciò che stava accadendo: il capitano riportò immediatamente alle autorità di Palermo la nascita di un nuovo vulcano. Nei giorni seguenti furono numerose le testimonianze di una grande colonna di vapore e gas fuoriuscire dal mare. Il 16 luglio il signor Vincenzo Barresi, agente principale della Regia doganale, si avvicinò coraggiosamente alla colonna di fumo, portandosi a una distanza di circa centocinquanta metri e riuscendo ad osservare esplosioni intermittenti di magma incandescente ogni dieci-dodici minuti.

La bocca eruttiva dunque doveva ormai essere prossima alla superficie del mare. Lo spessore della colonna d’acqua al di sopra del magma doveva essersi ormai ridotto talmente tanto da contribuire ad una vigorosa attività freatomagmatica. L’eruzione a quel punto passò da sottomarina a subaerea: il forte odore di zolfo “sì dispiacevole che rendevasi insoffribile alla respirazione” raggiungeva la costa di Sciacca, mentre l’orizzonte era dominato dalla possente e persistente colonna eruttiva, che di notte era addirittura illuminata da scariche elettriche.

La potenziale nascita di un nuovo lembo di terra pirogenica provocò grande interesse dal punto di vista politico ed anche scientifico. Così da Palermo salpò il 13 luglio “per sovrana determinazione” la real corvetta bombardiera ‘Etna’ capitanata da Don Raffaele Cacace.

Allo stesso modo, sull’onda dei numerosi rapporti di altri natanti, anche Malta si mosse inviando il cutter Hind, comandato dal tenente Coleman, e il Philomel, comandato da Mr. William Smith. Insomma le acque circostanti il novello vulcano risultarono parecchio affollate, considerata anche la presenza di numerosi curiosi, viaggiatori di passaggio e soprattutto studiosi.

Tra questi ultimi bisogna menzionare Fredrich Hoffmann docente di geologia presso l’Università di Berlino che, trovandosi casualmente in Sicilia, si precipitò nella zona del teatro eruttivo.

Hoffmann fu così il primo studioso a redigere un rapporto scientifico sull’attività vulcanica al largo di Sciacca. Alla fine di luglio, tra flutti, esplosioni e vapori, faceva capolino una “piccola collinetta di colore scuro alta pochi piedi sul mare che tosto veniva coperta dalle nuove eruzioni”: l’embrione di un’isola dai molti nomi che, contesa da mezzo mondo, beffò chiunque, sparendo nuovamente.
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