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Terremoto nella Valle del Belice: 50 anni dopo il dibattito sulle cause è ancora aperto

Alle 13.28 del 14 gennaio, una scossa face tremare mezza Sicilia: un evento che cambia la geografia ma anche il nome di quel luogo ormai nella storia, da Belìce a Bèlice

  • 15 gennaio 2018

Gibelina il giorno del terremoto (Foto Melo Minnella)

Il 1968, anno di contestazioni, lotte armate e stravolgimenti sociali, si aprì in maniera drammatica per la Sicilia occidentale.

Alle 13.28 del 14 gennaio, una scossa di terremoto di magnitudo momento Mw 5.0 fece tremare mezza regione, dando origine alla disastrosa sequenza sismica che porta il nome della zona epicentrale: la Valle del Belice.

L’evento fu seguito da altre tre scosse di magnitudo compresa tra 4.9 e 5.2 che si registrarono nel pomeriggio del 14, creando lievi danni e molta paura in gran parte del trapanese e palermitano.

La sensazione di panico da terremoto spinse così molte persone a passare la notte fuori casa, cercando riparo in macchina o in zone all’aperto. Una fortuna per molti, visto che alle 3.01 una spaventosa scossa di magnitudo 6.3 cambiò radicalmente il volto della Valle del Belice, distruggendo interi paesi e facendo tremare persino Palermo e Pantelleria.

Nei giorni seguenti si registrarono altre otto scosse di magnitudo compresa tra 4.8 e 5.4 e poi ancora il 25 gennaio una replica di magnitudo 5.5 tornò a provocare crolli e seminare il panico. I centri abitati di Gibellina, Salaparuta, Montevago, Partanna, Poggioreale e Santa Margherita furono gravemente danneggiati e abbandonati.
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In alcuni paesi fu proprio vietato l’accesso. Il 90% del patrimonio edilizio rurale subì danni irreparabili, con gravi ripercussioni sull’economia del luogo, quasi esclusivamente agricola.

L’intensità massima della sequenza raggiunse il decimo grado della Scala Mercalli e sulla gravità dei danni pesarono certamente le caratteristiche costruttive e la vetustà degli edifici, spesso mal ristrutturati, realizzati in pietra squadrata con insufficiente malta cementizia, assenza di collegamenti tra le parti strutturali e fondazioni inadeguate.

Le case si sbriciolarono, nel vero senso della parola, divenendo trappole mortali per circa 300 persone che persero la vita a causa dei crolli.

Gli effetti del terremoto del 1968 cambiarono profondamente non solo la geografia della Valle del Belice ma anche il suo nome (la vera denominazione era Belìce e non Bèlice, come erroneamente riportato dai giornalisti del tempo) e diedero vita a una triste pagina del nostro Paese riassunta egregiamente da un celebre scatto di Toni Nicolini, che immortalò un murales anonimo recante la scritta "la burocrazia uccide più del terremoto".

Ma qui la penna di un geologo dovrebbe iniziare a scrivere più cautamente, motivo per cui ci limiteremo a affrontare l’interessante dibattito scientifico, ancora aperto, sulla geodinamica di questo meraviglioso angolo di Sicilia.

La mancanza di morfologie di superficie legate alla presenza delle faglie che hanno originato la sequenza sismica del 1968 ha dato luogo a varie teorie e ipotesi sulla reale struttura geologica responsabile dei terremoti.

Nel 2014, un’interessante ricerca condotta da un team di studiosi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e delle Università di Palermo, Catania e Napoli, e pubblicata sulla rivista Journal of Geodynamics, ha finalmente gettato nuova luce sull’argomento.

Attraverso un’analisi multidisciplinare che ha visto la combinazione tra dati di terreno, tecniche geodetiche satellitari (InSAR e GPS) e profili sismici in mare ad alta risoluzione, si sono osservate delle faglie inquadrabili nello stesso contesto tettonico delle strutture responsabili della sequenza sismica del 1968.

Ma le scoperte non si sono fermate qui. La faglia scoperta sarebbe da considerare come la sorgente dei terremoti che hanno distrutto, in almeno due riprese (tra il V-Vi sec. a.C. ed il IV sec. d.C.), la fiorente città greca di Selinunte.

Questa assunzione è stata fatta anche grazie ad uno studio di letteratura, che pone la sorgente sismica a nordovest della colonia greca, attraverso l’analisi della direzione di caduta delle colonne dei templi dell’area archeologica.

La ricerca inoltre evince come l’area del Belice sia caratterizzata da una geodinamica molto attiva e soggetta a crisi sismiche di varia entità: una conferma arrivata anche dall’analisi delle distribuzioni temporali e spaziali dei terremoti negli ultimi 30 anni, che hanno interessato questo settore della Sicilia negli anni 1998, 2005/06, 2010/12, 2014/15 e 2016/17.

Per questi motivi la Valle del Belice ricade in zona a sismicità medio-alta, secondo la più recente classificazione sismica del territorio italiano.

Un dato che deve fare riflettere non solo sulla qualità degli edifici esistenti, ma anche sullo stato delle infrastrutture viarie (possibili vie di fuga), oggi in gran parte disastrate, e sulla tutela e la valorizzazione del patrimonio monumentale.

Anziché pensare all’anastilosi dei templi di Selinunte (le cui rovine peraltro sono state piuttosto utili in materia di terremoti), bisognerebbe pensare a rendere la Valle del Belice un luogo sicuro, fruibile e vivibile. Questo per evitare un nuovo ’68.
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