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Uomini "ubbidienti alla madre", mariti inadeguati: Tomasi di Lampedusa e l'amore per Licy

La storia d’amore nata tra lo scrittore palermitano e Alexandra Wolff Stomersee è un’appassionante vicenda che, intrecciando letteratura, psicoanalisi e cinema, merita di essere raccontata

  • 3 dicembre 2021

Tomasi di Lampedusa e la moglie Alexandra Wolff (foto da Bula)

Spesso le fiabe finiscono con "…e vissero felici e contenti", ma nella vita, quando si parla d’amore, le cose vanno diversamente e anche le coppie formate da personaggi illustri della storia celano a volte oscure verità! Se poi si parla
d’amore in Sicilia, tutto può accadere.

Ci sono storie finite male, mentre altre indissolubili che solo la morte può dividere, vi sono amori in cui prevale la
passione dei sensi, amori che ispirano l’arte e la letteratura, amori anche molto infelici, amori così intensi da superare ostacoli immensi. Ci chiediamo perché gli amori sbocciati in Sicilia diventando, a volte, anche materia letteraria oltre che di
cronaca. Leggendo le storie d’amore di scrittori e artisti, ci rendiamo conto ancor di più che spesso, c’entrano le madri nella vita di grandi uomini d’ingegno siciliani.

Si tratta di uomini “ubbidienti alla madre” e perciò inadeguati mariti o amanti. Strani amori, questi, tragici, misteriosi, fantastici, felici e infelici, ma che fanno comunque crescere e sorridere, che fanno sognare e piangere, e che
tuttavia pur sempre continuano a vivere nella memoria di molti.
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La storia d’amore nata tra lo scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Alexandra Wolff Stomersee, detta Licy, è un’appassionante vicenda che, intrecciando letteratura, psicoanalisi e cinema, merita di essere raccontata.

Che cosa lega una nobile di Riga e uno di Palermo, aristocrazia a parte? Il loro amore nasce dalle ferite comuni, anche se inferte a latitudini lontanissime, perché il dolore usa un alfabeto universale. Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l’autore del celebre romanzo Il Gattopardo, aveva una madre possessiva, perciò le donne per lui erano sempre state più un sogno che una realtà avvicinabile.

Infatti, si sposò tardi, quando le forze della madre scemavano. Tomasi di Lamedusa, nato a Palermo il 23 dicembre del 1896, figlio di Giulio Maria Tomasi e Beatrice Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò, era duca di Palma e Montechiaro e principe di Lampedusa. Licy, il nomignolo con cui era chiamata Alexandra, nata a Nizza il 13 novembre del 1894, era una aristocratica baltica, figlia della cantante lirica italiana Alice Barbi e del barone Boris Wolff Stomersee, allieva di Sigmund Freud e apprezzata analista.

I due si conobbero a Londra in casa dello zio Pietro Tomasi della Torretta, secondo marito della madre di lei, in un tempo in cui Licy era ancora legata al barone André Pilar. In quell’occasione, già uniti da affinità elettive, fecero una breve passeggiata, parlando di Shakespeare, che la giovane donna conosceva a menadito.

Nel 1927 il Gattopardo fu ospite al castello di Stomersee, in Lettonia, essendo amico di entrambi i coniugi; ma, nel 1930, un incontro a Roma tracciò un nuovo cammino: Alexandra divorziata e, quindi, ormai libera, iniziò con Giuseppe una profonda amicizia che, pian piano si trasformò in grande amore. Nel 1932 il principe, nonostante il timore reverenziale nei confronti della madre, convinse Licy a trascorrere la Pasqua con lui a Palermo, nel grande palazzo di famiglia nel quale viveva con i genitori.

Beatrice Tasca Filangeri di Cutò, dotata di grande carattere e molto legata all’unico figlio, avendo perso una bimba in tenerissima età, non vide di buon occhio quella donna divorziata, dal carattere dominante, eccessivamente franco e forte, in cui, probabilmente, si rivedeva. Il rapporto difficile tra i due amori delle sua vita, spinse Giuseppe Tomasi a una scelta molto difficile e sofferta, quella di scrivere a entrambi i genitori, il giorno stesso del matrimonio, una lettera per comunicargli la decisione di sposarsi, facendo finta, però, che l’evento non fosse imminente.

La madre visse la notizia con grande ansia. Giuseppe poco dopo, prese l’importante decisione di portare la moglie a Palermo, ma, purtroppo, non riuscì nell’intento di far andare d’accordo suocera e nuora e, così, Licy se ne tornò da sola nel freddo nord, non avendo avuto il marito la forza e il coraggio di contrariare e lasciare la madre.

Il matrimonio, tuttavia, resistette alle intemperie della vita e alla lontananza e, infatti, i coniugi, per circa dieci anni, si incontrarono in Lettonia, a Stomersee o a Riga. A riunirli, però, ci pensò la guerra: ad Alexandra le autorità sovietiche avevano confiscato il castello, insieme all’enorme parco e al lago di proprietà; a Giuseppe, invece, era stato bombardato impietosamente il Palazzo Lampedusa.

Riavvicinati da questi tragici eventi, capendo di non sopportare più l’uno l’assenza dell’altra, decisero di riprovarci e vivere nuovamente a Palermo e senza la presenza materna, che si ritirò in solitudine. Finito il conflitto, la loro vita trascorse piacevolmente: mentre Giuseppe passava le sue giornate, con il piccolo circolo di giovani discepoli che lo attorniava, nei caffè del centro, tra cui l’indimenticabile Bar Mazzara, uno dei luoghi in cui scrisse, probabilmente, alcune pagine del Gattopardo e che lo ricordava con una foto che campeggiava sulle sue pareti, Licy, ormai psicanalista affermata, si dedicava principalmente a studi sulla nevrosi, sulle psiconeurosi e sulla depressione, anche infantile.

Cosa si scrivevano i due nel decennio in cui restarono separati? Si scrivono in francese, pur intendendosi benissimo in italiano, tedesco e russo, raccontandosi le loro giornate e soffermandosi sui loro sentimenti amorosi. Non tutti possono comprendere come il loro amore si rafforza con la distanza e si afferma attraverso l’assenza. Licy non è una donna come le altre. Quale altra donna accetterebbe così a lungo un rapporto di questo genere?

Era il 1957 quando lui morì e il romanzo aveva già all’attivo ben due rifiuti. Solo la critica letteraria di Giorgio Bassani rese il romanzo postumo un bestseller mondiale, nel 1959. Grazie a Licy, Tomasi di Lampedusa decise di scrivere il romanzo. Lei era la sua musa e dopo la sua morte difese il romanzo dall’oblio.

Licy, per e con amore, intravide nella malinconia del marito una certa bellezza e lo invitò a scrivere con queste parole: «La luna è uguale in ogni posto. Scrivi e tutto vivrà».
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