Vedere e sentire dal vivo gli Old Time Relijun, penso sia un’esperienza sempre interessante. Mi era capitato già una volta, due anni fa all’Ex-Carcere di Palermo, di assistere ad una loro performance, e devo dire che ne ero rimasto molto impressionato: suoni grezzi, improvvisazioni ripetute, uso di molti strumenti e un’attitudine sul palco davvero incredibile. Giovedì 30 ottobre, merito anche dei Candelai, luogo veramente ideale per questo tipo di eventi, il concerto, a mio parere, è stato anche più efficace e decisamente migliore nel suono. Quando salgono sul palco, vestiti in maniera molto sobria (a parte lo sfoggio di una mascherina halloweeniana, da parte del batterista Rivers Elliot), subito i tre musicisti danno vita alla loro miscela di rozzo country, caotico rock’n’roll, south blues, il tutto con assoli continui ed una furia live, quasi punk, (alla Cramps, per intenderci).
È quasi impossibile restare fermi davanti a pezzi impagabili come “Mystery Language” o “Crocodile Theatre”, e il ritrovarmi a saltellare ascoltando brani così non convenzionali, così lontani e a loro modo vicinissimi alla forma-canzone, così destruturalizzanti, mi è apparso subito molto strano ma magico assieme. E la magia ed il misticismo quasi infernale (me li immagino già a suonare attorno ad un falò di notte in una palude del Mississipi, attorno a loschi figuri indemoniati) è a mio parere una delle componenti principali del sound degli Old Time Relijun.Arrington De Dyoniso (nonostante, rispetto al concerto di due anni fa all’Ex-Carcere, suoni solo la chitarra e non metta mano al sax, al flauto e alle percussioni) è come al solito una furia. Balla, incita il pubblico, canta, fa smorfie, urla, riesce camaleonticamente a far uscire qualsiasi suono dalla sua bocca.
Suona la chitarra in modo molto atipico, quasi non prendendo accordi, ma picchiando freneticamente sulle corde, e riesce a costruire dal nulla lancinanti riff che diventano motivi conduttori dei singoli brani; sorretti questi anche dall’imponente muro del suono (niente a vedere con Phil Spector, però) costruito dal vibrante contrabbasso di Aaron Hartmann, musicista molto valido, di impostazione jazz e dalla batteria quasi perennemente in controtempo di Rivers Elliott. Dopo aver suonato una manciata di pezzi, per un oretta (forse un po’ pochino) i nostri tre salutano il pubblico e vanno via. In concreto un gruppo veramente peculiare, che ricorda, seppure in maniera odierna, chiaramente l’acid rock e country di Captain Beefhart and his Magic Band, con spruzzatine di psichedelia, tanto blues, ed a tratti, soprattutto nell’attitudine, i primi Violent Femmes e lo psychobilly dei Cramps, ma che prende le distanze da tutto ciò, creando uno stile unico ed inconfondibile. Se, però, riuscissero a dare un tocco di originalità in più alla loro musica, e non eccedessero alle volte in formalismi, seppure eleganti e raffinati, forse sarebbero realmente dei grandissimi.
Old Time Relijun, il futuro del rock’n’roll?
"I tre musicisti danno vita alla loro miscela di rozzo country, caotico rock’n’roll, south blues, il tutto con assoli continui e una furia live, quasi punk"