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Amava follemente Agrigento: Marconi e le sue conquiste "strappate alle viscere della terra"

L'archeologo-filosofo, come veniva spesso definito, arrivò ad Agrigento nel 1925 per partecipare ad alcuni scavi. Furono tante le pagine da lui scritte completamente nuove sulle origini della città

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 10 novembre 2021

«Ci vorrebbe opera di poeta per ridire la bellezza di Agrigento; tutto è legato ed armonico, tutto si snoda come le membra di un sol corpo ed ogni cosa appare come opera della volontà di un unico demiurgo che abbia segnato i colli, le rocce ed i templi».

Questo stupendo elogio di Agrigento e della sua Valle non è stato scritto da un poeta greco, né da un turista romantico. Queste parole, infatti, sono uscite dalla penna di uno dei padri dell'archeologia agrigentina: Pirro Marconi, l'archeologo-filosofo o l'archeologo-artista come veniva spesso definito.

Questo archeologo veronese arrivò ad Agrigento nel 1925 per partecipare ad alcuni scavi sotto la direzione di Paolo D’Orsi, soprintendente alle Antichità classiche della Sicilia.

Questa prima esperienza gli permise di vivere a contatto con la classica terra agrigentina e di scrutarla in ogni zolla. Comincerà a studiare la storia del territorio dalla preistoria in poi e, rilevando l’assenza di sicure fonti storiche, si dedicò da allora a scrivere pagine meglio documentate e completamente nuove sulle origini della città agrigentina.
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Nel 1926 ebbe nella Città dei templi l’incarico di Ispettore nel ruolo delle Belle arti e nel 1927, tornò con la moglie, l’archeologa Jole Bovio, che aveva sposato un anno prima, per una nuova una campagna archeologica.

Gli scavi iniziarono sul predio Trippi, nel terreno cioè adiacente al Grand Hotel des Temples, a Nord della Chiesa di San Nicola dei Cistercensi, sull'orlo di un avvallamento dove, a vari ripiani degradanti, furono trovate delle abitazioni romane, di notevole estensione con ampie stanze e pavimenti a mosaico. Altri scavi furono fatti nel predio Catalano, presso il tempio detto dei Dioscuri, ove, ad una profondità di trenta centimetri appena, fu trovata una grande struttura di basamento.

Ampliato lo scavo, vennero alla luce il grande santuario di Demetra e Core, delle divinità chtonie, con numerosi santuari e sacelli. Si fece così nuova luce sulla topografia dell'antica Akragas.

Altre scoperte ancora, presso il tempio di Giove, consentirono a Pirro Marconi di offrire nuovi importanti contributi intorno alla famosa questione della collocazione dell'Olempeion. Questo immenso tempio di 120 m di lunghezza e 55 larghezza, dopo l’Artemision di Efeso, il più grande tempio dell’antichità, assunse, dopo questi scavi, un valore straordinario, poiché ne sarà permessa la ricostruzione.

«Scoperte che resteranno fra le più vaste ed importanti che si siano avute nel suolo dell'Isola », scrisse nel 1933 lo stesso Pirro Marconi riconsiderandole a qualche anno di distanza. Un grande merito per tali scoperte ha avuto un capitano inglese, arrivato ad Agrigento nel gennaio del 1921, Alexander Hardcastle.

La Valle dei templi lo conquistò e già prima di conoscere Pirro Marconi aveva portato a compimento, finanziandoli, alcuni progetti di scavo e restauro dei grandi monumenti della città antica, e in particolare l’anastilosi del tempio di Eracle, iniziata già nel 1922 e portata a termine nel ’24.

Intanto si era dedicato alla ricerca del teatro, allo scavo delle fortificazioni akragantine e del santuario di Demetra. Sin dall’inizio Hardcastle finanziò le ricerche, gli scavi, le opere opere di restauro necessarie alla conservazione dei siti eseguiti sotto la direzione di Pirro Marconi.

Hardcastle condivideva con Marconi il progetto di finalizzare le ricerche alla scala urbana, ponendosi come obiettivo quello di mettere alla luce gli edifici della città di Akragas. I frutti di questa straordinaria intesa, rispettosa e filiale, furono, oltre quelli già citati, anche gli scavi realizzati nel santuario delle divinità ctonie, nell’area dei templi di Vulcano e di Esculapio, nel tempio dei Dioscuri che chiarirono appartenere al quinto secolo avanti Cristo

Nel 1928 fece uno scavo nella Serra di Ferlicchio documentando l’esistenza di un periodo neolitico, prima non documentato. Comprese da altri scavi che la cosiddetta tomba di Terone e il cosiddetto oratorio di Falaride, attribuiti al periodo della decadenza greca, erano in realtà entrambi romani e del periodo repubblicano. Scoperte che contribuirono poi ad avviare le campagne di scavi per portare alla luce il quartiere ellenistico-romano.

Sottopose a migliore indagine scientifica l’architettura, la plastica architettonica, la ceramica, l’arte della moneta di Akragas e dell’Agrigentum romana

Sulle ricerche fatte ad Agrigento, Pirro Marconi ha lasciato numerose opere; ricordiamo in particolare i volumi «Agrigento», «Plastica agrigentina », « Agrigento arcaica ».

Dirà Amedeo Maiuri, altro illustre studioso ed archeologo, ricordando Pirro Marconi nel corso di una solenne commemorazione a pochi giorni dalla scomparsa dell'amico: «Il ricordo di Agrigento, di quella sua prima bella conquista strappata alle viscere della terra, e del paesaggio agrigentino fra gli ulivi, la roccia ed il mare e di quelle divine ore di ebbrezza che solo chi ha la febbre e l'ansia della ricerca, l'intuizione che urge di dentro come in uno stato di allucinazione, e la suprema felicità della rivelazione, può intendere, quel ricordo non lo abbandonerà più, e gli tornerà spesso come una vivida luce negli occhi».

Pirro Marconi nel gennaio 1931 lasciò Agrigento per occuparsi del tempio della Vittoria ad Imera e venne poi trasferito, per ragioni di servizio, alla Soprintendenza alle Antichità delle Marche con incarico di Soprintendente. Dopo altri successi, ricevette l’incarico di dirigere la Missione archeologica Nazionale in Albania.

Il 30 aprile del 1938, tornando dall’Albania, perse la vita in un incidente aereo. Agrigento gli ha dedicato la biblioteca presso il Museo archeologico nazionale e l’ampia piazza dove si affaccia la Stazione centrale.
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