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"Chi ciavuru" Palermo: gli odori ammaliano dall'alba al tramonto (ricreazione compresa)

Dall'odore di salsedine al fumo delle caldarroste che riscalda in inverno, dal caffè delle torrefazioni ai panini e panelle da gustare a ricreazione è un tripudio di profumi

  • 20 febbraio 2020

Un panino panelle e crocché (foto Balarm)

Non è un caso credo, che una delle espressioni più utilizzate a Palermo sia “chi ciavuru”. Onore al merito va senza ombra di dubbio allo “sfincionaro” che è ben consapevole del fatto che l’odore dello sfincione sia uno dei più buoni del mondo. Lui sa come farti venire l’acquolina in bocca.

Noi tra l'altro, di recente, ne abbiamo tracciato per filo e per segno le origini e le gesta in questo articolo.

Non è ancora un caso che questa locuzione sia la più usata perché i profumi che riesce a sprigionare questa città sono davvero intensi, vari, pungenti e tanti.

Lo so, molti di voi stanno già pensando alla spazzatura, o munnizza che dir si voglia…ma attenzione stiamo parlando di profumi!
E poi…parliamoci chiaro, nel mondo siamo conosciuti, principalmente, per il cibo e del nostro streetfood ed è quello che principalmente ed inevitabilmente contraddistingue la nostra Palermo.
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Se chiudo gli occhi ed ispiro forte dal naso il primo profumo che mi viene in mente…bhè non può che essere quello delle stigghiola.
Ogni volta che passo dal “commissariato di San Lorenzo” o dai piedi di monte Pellegrino sono sempre indecisa se abbassare o alzare il finestrino. Da un lato so che invaderà la mia auto con insistenza e temerarietà, dall’altro penso che sia il profumo migliore del mondo...altro che Chanel n.5!

Un altro profumo che adoro di Palermo è quello sprigionato nel periodo invernale dal fumo che si propaga dalla tostatura delle castagne, “caldarroste” per noi. È un profumo che ti abbraccia nelle fredde giornate invernali e lo associo sempre all’immagine dei palloncini. Non so perché ma accanto ce n’è quasi sempre uno che li vende.

L’odore del mare, accompagnato dal suo “scruscio” in primavera che accarezza la nostra voglia d’estate, così come dimostrano le alghe che ricoprono il bagnasciuga. In quest’ultima stagione l’odore di salsedine si sostituisce a quello delle pannocchie e delle ciambelle vendute dagli ambulanti sulla spiaggia in pieno agosto, con le la loro cantilena inconfondibile.

Uno dei miei preferiti è il profumo di nocciola tostata che esce fuori da un'azienda alimentare. Ti fa quasi venir voglia di mandare un curriculum per lavorarci dentro.

L’odore di gelsomino che in alcuni punti della città cresce rigoglioso. Mi fa ricordare la nonna che lo raccoglieva e me lo faceva mettere sul comodino della cameretta, diceva che scacciava via i brutti pensieri.

Il pungente odore del porto e del pesce appena pescato alla Cala che ti fa venir voglia di organizzare una spaghettata di pasta con le vongole accompagnata da zuppa di cozze; così come succede tutte le volte in cui attraversi il mercato della Vucciria e qualcuno sta tagliando il polpo.

L’odore dei limoni che tuo papà ha raccolto dall’orto e dell’olio extravergine d’oliva comprato a ottobre rigorosamente in qualche paesino sperduto della Sicilia.

Palermo è anche l’odore del pane appena sfornato, soprattutto la sera perché siamo tra i pochi a panificare due volte al giorno e non una sola. E poi, parliamoci chiaro, da Roma in su chiamarlo pane è un eufemismo. L’odore di fritto appena esci da scuola o durante la ricreazione. È il richiamo del “panellaro” che ti seduce con le sue panelle e le sue crocchè.

La tostatura del caffè che insistentemente sbuca fuori da alcune torrefazioni che ti fa venir voglia di non dormire più per tutta la vita.
Infine…l’odore della domenica a Palermo. Il risveglio tra le melanzane fritte, la colazione con spremuta d’arancia e i parenti che portano la cassata ed i cannoli, accompagnati dal limoncello. Odore di casa.
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