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Ci arrivi in barca ma ne vale la pena: dov'è (in Sicilia) il castello degli "orridi" misteri

Si raggiunge attraverso una camminata a tratti un po' faticosa, ma l'arrivo offre un panorama talmente spettacolare e suggestivo da meritare tutto l'impegno

Jana Cardinale
Giornalista
  • 25 aprile 2024

Il Castello di Punta Troia (Marettimo) - foto di Mario Torrente

Si raggiunge attraverso una camminata a tratti un po' ardua, ma l’arrivo offre una visuale talmente spettacolare e suggestiva nel suo panorama, da meritare tutta la fatica.

Il Castello di Punta Troia, a Marettimo, che sorge sulle fondamenta di una torretta di avvistamento costruita nel IX secolo dai Saraceni, si trova nel cuore del Mar Mediterraneo, in un punto strategico dove sono passate molte civiltà, ed è l’emblema di una storia lunga e variegata che lo rese anche "orrida prigione", soprattutto per detenuti politici, arrivando a contarne, nel 1973, anche 52, ammassati in una cella ricavata in una vecchia cisterna detta "la fossa".

Di proprietà del Comune di Favignana-Isole Egadi, è sede del Museo delle Carceri e Osservatorio "Foca Monaca" dell’Area Marina Protetta, ma resta intriso di leggende, alcune delle quali decisamente misteriose.

Uno dei tanti racconti che aleggiano sul Castello, e che portano indietro in un tempo lontano, narra la drammatica storia di due amanti finiti nel mare di Marettimo dall'alto della scogliera della fortezza. Secondo la narrazione popolare, una delle tante tramandate nell'isola, un principe si innamorò di una bellissima donna di Marettimo.
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La ragazza venne però gettata in mare dalla rupe del Castello da sua sorella, gelosa del loro amore e il principe, dopo avere visto il corpo della sua amata senza vita tra gli scogli, la vendicò, uccidendo la sorella della ragazza. Subito si gettò anche lui dalla terrazza della fortezza, togliendosi la vita.

La leggenda vuole che il Dio del mare, colpito dalla forza di quest’amore oltraggiato, abbia unito per sempre i due amanti, trasformando i loro corpi nelle due protuberanze dello scoglio del Cammello, uno dei tanti scorci di Marettimo dove il destino degli uomini si intreccia, per sempre, con quello della loro isola.

Dalla leggenda alla storia il passo è breve, e quel gesto di togliersi la vita lo si trova insito nell'anagramma volgare di ‘Maretimo’ coniato dal generale Guglielmo Pepe, in ‘Morte Mia’.

Il generale, infatti, nel Castello di Punta Troia trascorse un bel po' del suo tempo. Guglielmo Pepe nato a Squillace, nel 1783, da giovane fu accusato di aderire alla Carboneria e condannato dal governo borbonico.

Spedito a Marettimo, assieme a Nicola Ricciardi, avvocato di Foggia, venne rinchiuso nel Castello e precisamente nella cisterna d'acqua svuotata e adibita alla bisogna come ‘fossa’, dove trovarono sventura diversi altri patrioti, tutti insieme, in uno spazio largo due metri e lungo sette.

L'altezza era disuguale perché aveva la volta incurvata nelle due estremità, e perciò potevano stare in piedi solo nel mezzo della cisterna, la cui imboccatura era sempre aperta, favorendo l’entrata di poca luce ma dell’acqua, quando pioveva, dell’umidità e degli insetti.

Un luogo di dolore, quindi, che Pepe da "Marittimo ergastolo, tradusse in "morti mia". Riuscì, tuttavia, assieme a un altro condannato, a farsi trasferire nell’isola di Favignana in una fossa del Castello di Santa Caterina, dove subì un trattamento meno duro.

Pepe, non ancora ventenne, era stato arrestato a Napoli, reo di essere sospettato di cospirare contro la tirannia e l'oppressione di Re Ferdinando I° di Borbone, e senza alcun processo, per questo, venne condannato all'ergastolo da espiare in quella tremenda fossa di Marettimo.

Oggi, com’è noto, il Castello è tra le principali attrattive dell’isola, la più incontaminata delle Egadi, sorella meno mondana del "trittico delle meraviglie". Davvero un Eden dalle sembianze primordiali che affiora dal blu del mare in tutte le sfumature del verde della lussureggiante macchia mediterranea.

Marettimo è così, e appare solenne e maestosa già in lontananza, a bordo dell’aliscafo o del traghetto. Un’isola che non è solo mare, ma anche terra, da calpestare, percorrere e ascoltare.

Un luogo "lontano", dove lo sgretolarsi dei sassi sotto le suole si confonde con il ritmo delle sue onde; rumori che accompagnano un viaggio alla scoperta della natura e della storia dell’isola, che diventa spesso ricerca di se stessi.

In uno dei suoi punti simbolo - il Castello di Punta Troia appunto - tornato al suo splendore dopo i restauri fino a essere reso fruibile e aperto al pubblico, si arriva in barca, accompagnati da qualche guida locale.

Il promontorio presenta due accessi al mare: Scalo Maestro e Cala Manione.

Ad attendere i visitatori c’è l’impervia salita che conduce al Castello, che è comunque un tratto esiguo rispetto a chi lo raggiunge, con un percorso di trekking, a piedi dal paese.

Tutt’intorno il fascino e la magia della natura, dei racconti e delle leggende che ancora si tramandano e fanno sognare.
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