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Da Palermo a Messina a piedi, sui monti con lo zaino in spalla: il racconto di chi l'ha fatto

I Siculi Viandanti fanno parte dell’Associazione “Cammini Francigeni di Sicilia” e hanno percorso a piedi la cosiddetta viam francigenam che conduce da Palermo a Messina

  • 8 febbraio 2020

La conchiglia simbolo dei camminatori

«Se ci avessero detto, sette anni fa, che sarebbe stato possibile andare da Palermo a Messina a piedi, solo con lo zaino in spalla, senza l’aiuto di alcun tour operator, guida o accompagnatore, passando a ridosso delle Madonie, dei Nebrodi e dei Peloritani e trovando tutte le informazioni per potersi organizzare da soli, non ci avremmo mai creduto».

Eppure c’è chi questi percorsi li ha fatti davvero, dopo aver perso gli occhi sulle carte medievali e sulle poche mappe che sono sopravvissute allo scorrere dei secoli, dentro un archivio di Stato o tra i faldoni rigonfi di metodici avvocati, custoditi in luoghi inaspettati della Sicilia.

Sono i Siculi Viandanti, che fanno parte dell’Associazione no profit “Cammini Francigeni di Sicilia” che, come la tradizione scout impone, hanno camminato, zaino in spalla, lungo la cosiddetta viam francigenam percorrendo a piedi tutto il percorso che, a valle dei Monti, conduce da Palermo a Messina, la città dello Stretto.
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«Abbiamo studiato per anni la viabilità storica della Sicilia, letto pagine e pagine, più o meno polverose, più o meno veritiere, siamo volontari della cultura nati per riscoprire ciò che i siciliani hanno sempre avuto sotto mano», afferma Davide Comunale, presidente dell’associazione “Cammini Francigeni di Sicilia” e coordinatore del progetto.

«Le regie trazzere sono sempre state lì, lungo le polverose strade sterrate di Sicilia, consumate dal passaggio della gente, dei mercanti, dei soldati, dei prelati e dei pellegrini anche, dei contadini a giornata e dei loro mezzadri, dei signori a cavallo, in carrozza, in trattore o sulle moderne jeep», continua.

Un unico lungo filo che collega migliaia di piccoli paesi, uno per ogni grande e piccolo centro dell’Isola, come fosse una via centrale dalla quale si diramano miriadi di deviazioni che dal centro della Sicilia portano energia verso le tante periferie di questa isola. Questa via francigena correva lungo le coste del nostro mare, lungo la piana di Milazzo, univa una serie di castelli e fortilizi e nel tardo XIX sec. prese il nome di via Palermo - Messina per le montagne.

Ripercorriamo questo percorso attraverso il racconto di chi lo ha affrontato, l’esperto Davide Comunale.

«Se lasci Palermo, dalle mille moschee e chiese, e ti dirigi lungo la costa verso Solunto, incontri Baarìa, un tempo avamposto e porto a chiusa del golfo che avvolge le antiche terme di Imera, ora città di ville barocche costruite per contrappunto alla ricchezza della capitale.

Dal porto di Aspra, dalle sue sardine in museo, dal variegato andirivieni di colline e insenature, puoi risalire verso l’entroterra, verso la riserva di Pizzo Cane dove, immobile come una vedetta, riposa l’eremo di San Felice, luogo fuori dal tempo, punto di mira per i ràis delle tonnare di Trabia, luogo di meditazione e di silenzio per i viandanti.

E poi giù, finché agli occhi dei pedoni non si aprono le Madonie, in salita costante fino a prendere fiato, fino a scorgere i tetti di Montemaggiore Belsito che ci portano poi fino ad un bagno di acqua termale dalle proprietà rigenerative, Sclafani, che guarda le cime dei monti Sicani e spazia verso Enna e verso i campi di grano in mezzo ai quali le trazzere si incamminavano per giungere alla lontana Castronovo, incrocio di genti e di percorsi.

E di rimpetto, Caltavuturo e poi Polizzi e le Petralie: castelli, magioni di cavalieri teutonici e templari, storie di inquisizione, di rivolte contadine e di Vespri che hanno illuminato come fiammelle le pagine di una storia fatta di viaggi di andare di dominati e dominatori, che poi alla fine si confondevano gli uni con gli altri senza capire più u patruni e u sutta.

Finiscono le Madonie a Gangi, collina-presepe dove smetti di contare i gradini che ti portano su alla piazza e alla torre normanna solo quando, girandoti, vedi la Montagna, l’Etna possente coperta di bianco e fumante che ti ricorda chi sei e dove andrai.

Inizia il tratto dei Nebrodi, l’Appennino siculo caro a Diana Nemorense, ai cerbiatti che un tempo popolavano in massa queste zone: Sperlinga e le sue grotte incastellate, dove i Francesi ressero fino alla fine; Nicosia dalle tre lingue che ancora oggi conserva le antiche dispute tra bizantini e latini nella bella rivalità dei riti religiosi, tra pompa magna e culto; Troina, la capitale antica, luogo dei misteri di San Silvestro e dell’alloro.

Siamo alle porte dell’Etna, manca poco alle ultime cime che ci portano alla valle della Saracena, tra Cesarò e Maniace, sulla soglia dell’abbazia di Santa Maria di Maniace, punto di arrivo delle viandanze ad oriente.

Qui si risale poi verso altre cime, i Peloritani: Floresta e Montalbano, boschi fitti e sali-scendi dei torrenti messinesi; Novara, di pietra antica, lavorata a mano e di bellezza; Barcellona e Santa Lucía del Mela, sudore contadino sui campi fertili sotto il controllo della Chiesa; Rometta, l’ultima a cadere sotto il controllo dei potenti emiri Fatimidi, porta finalmente alla meta di Messina, per i porti d’Oriente».

Circa 380 chilometri di trazzere e sentieri, strade bianche e asfalto leggero che da Palermo conducono alla città dello stretto, al porto franco da cui si imbarcarono migliaia di cavalieri in cerca di fortuna, termine ultimo delle vie Francigene di Sicilia.
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