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Dalle origini agli anni d'oro: il Grand Hotel di Termini e le sue preziose acque vulcaniche

Quando gli amministratori della città di Termini Imerese decisero di realizzare il Grand Hotel delle Terme una cosa era chiara: la nuova struttura doveva meravigliare tutti

Roberto Tedesco
Architetto, giornalista e altro
  • 11 settembre 2021

Grand Hotel delle Terme di Termini Imerese

Alla fine dell’800 nasce l’esigenza di sfruttare al meglio le fonti termali, sono gli anni in cui bisogna gestire un nuovo fenomeno quello: del “turismo termale”.

Un dilagante nuovo mercato economico in netta crescita che si rivolgeva all’aristocrazia e alla nascente nuova categoria di industriali, decisamente disponibile a dedicare diverse settimane alla rigenerazione del proprio corpo.

Quando gli amministratori della città di Termini Imerese deliberarono la realizzazione del Grand Hotel, previsto in adiacenza all'edificio delle “Vecchie Terme”, una cosa dovette essere chiara: la nuova struttura doveva meravigliare chiunque e non si doveva badar a spese.

In queste terre, sin dalla notte dei tempi, sgorgano costantemente, delle preziose acque vulcaniche alla temperatura di 43° centigradi con la proprietà di essere antinfiammatorie e analgesiche, caratteristiche queste che non si riscontrano facilmente in altre sorgenti termali.
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La progettazione dell’imponente strutta alberghiera fu affidata a uno degli architetti tra i più importanti dell’epoca: Giuseppe Damiani Almejda. Aveva da poco completato uno dei teatri più prestigiosi di Palermo, il Politeama, e si accingeva a realizzare un edifico, in stile neoclassico, destinato a diventare tra i più frequentati della nobiltà e dell’alta borghesia siciliana e non solo.

Durante gli scavi, per la realizzazione delle fondazioni dell’albergo, vennero alla luce numerosi ambienti tra cui uno definito come il “bagno delle donne”, oggi non più visibile perché inglobato nelle attuali strutture.

A tal proposito Giuseppe Patiri, studioso di storia locale, del XVIII secolo, nella sua opera dal titolo "Termini Imerese antica e moderna" così annotava nel suo scritto: «(...) chi fu presente agli scavi, parecchi anni or sono, per la costruzione del Nuovo Stabilimento, terrà vive lunga pezza nella memoria le scoperte allor fatte e le lunghe, interminabili mura e le sontuose vestigia d'ogni maniera, lasciateci sotterra da quelle antiche Terme, o meglio da quel grande aggregato di edifici di varie età, che costituivano la più famose Terme dell'epoca, notissime in Grecia, come in Cartagine ed in altri paesi (...)».

Si trattava di una complessa stratificazione di diverse epoche che comprendevano, con molta probabilità, strutture greche, romane e arabe. Tutti elementi murari che testimoniavano quanto siano state importanti le acque termali per tutte le dominazioni che si insediarono in questo territorio; un legame indissolubile testimoniato da una moltitudine di notizie storiche.

Tra queste ricordiamo quella del poeta greco antico Pindaro, nell’Olimpica XII, che oltre ad esaltare le potenti doti atletiche di Ergotele, cita i bagni caldi, confermando che già in epoca coloniale la sorgente era utilizzata sebbene Imera sorgesse a dodici chilometri.

Questa conferma ha trovato riscontro anche negli scavi archeologici compiuti nella Chiesa di Santa Caterina nel 1996. Tali studi hanno riportato alla luce frammenti databili intorno alla fine del V secolo a.C. che confermano l'ipotesi che, dopo la disfatta di Imera del 409 a.C., i cartaginesi ed alcuni esuli si insediarono sul sito delle terme, forse già abitato da una piccola comunità.

Un’altra fonte, successiva a quella di Pinadaro, è di Diodoro Siculo di Agira, dove afferma che Athena, con l'aiuto delle ninfe, fece "scaturire dei bagni caldi in queste terre" affinché il mitico Eracle si rinvigorisse dalle fatiche sostenute.

E ancora, il geografo greco Strabone annota che le "sorgenti d'Imera e di Selinunte sono salate a differenza di quelle di Segesta che sono potabili, aggiungendo, che le viscere dell'isola sono vuote proprio perché scorrono fiumi di acqua e di fuoco".

Ulteriori informazioni, ancora sull’esistenza delle terme imeresi, si hanno intorno all’anno 1100, quando il geografo arabo Idrisi nei suoi scritti descrive la città che è dotata da una fortezza, realizzata da pochi anni, dove erano presenti due bagni posti l'uno accanto all'altro.

Altre informazioni sono fornite, qualche secolo dopo, nel 1574 da Tommaso Fazello nella sua opera storica dal titolo: “Le due deche dell'Historia di Sicilia”.

Gli anni d’oro del Gran Hotel delle Terme sono senza alcun dubbio quelli compresi tra il 1910 e il 1960 quando la struttura venne utilizzato come “quartier generale” della corsa più antica del mondo: "La Targa Florio".

In quegli anni, nei giorni della competizione non doveva essere difficile notare la nobiltà siciliana e nazionale, passeggiare per le vie della città delle Terme, facendo sfoggio di gioielli e abiti tra i più costosi e di tendenza di quel tempo.

In quegli anni numerosi furono i grandi piloti dell’automobilismo mondiale che soggiornarono nelle lussuose camere del Grand Hotel delle Terme, tra questi ricordiamo il grande Enzo Ferrari, abituale ospite della struttura in occasione della competizione automobilistica più antica del mondo.

Sul Drake, lo storico cronista della gara, Franco Amodeo, in un suo articolo dal titolo: "Targa Florio: cento anni di storia consacrata nella leggenda e sconfinata nel mito", riportato nel periodico "Sicilia l’isola del tesoro", riferisce di un “curioso incidente” avvenuto proprio all’interno del Grand Hotel al commendatore.

«(…) Enzo Ferrari rimase nel vecchio ascensore a gabbia per oltre sei ore, finché non vennero a liberarlo i pompieri. Qualche anno prima di morire ad un giornalista che lo aveva intervistato disse che nella sua vita non ebbe mai paura, ma la ebbe solo una volta, quando rimase chiuso nell’ascensore dell’Albergo delle Terme. (…)».
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