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Don Fabio, il parroco dell'isola che accoglie: "Vi spiego perchè Lampedusa è un dono"

Arrivato sull’isola nel settembre del 2019, don Fabio Maiorana parla di Lampedusa come la terra simbolo della serenità, libera da confusione e rumore. Ecco la sua storia

Jana Cardinale
Giornalista
  • 3 gennaio 2021

Lampedusa è un dono. Un’esperienza bellissima, un luogo fatto da persone semplici, dove il progresso per la crescita del turismo ha formato la popolazione, ma non l’ha cambiata nella sua essenza.

La pensa così Don Fabio Maiorana, arrivato sull’isola nel settembre del 2019 dopo essere stato a Palma di Montechiaro per nove anni. Lì è co-parroco, assieme a Don Carmelo La Magra, che ha già fatto quattro anni a San Gerlando, e al Santuario dedicato alla Madonna di Porto Salvo.

Un’isola che in estate arriva a contare fino a 50 mila persone e che in inverno ne raccoglie, invece, solo sei mila, più i militari presenti per il servizio della cosiddetta emergenza immigrazione. Vissuta in tutto il periodo del lockdown, Lampedusa ha rappresentato per Don Fabio, la serenità, scevra da confusione e rumore.

«Anche il Natale quest’anno è stato diverso: nessuna processione – dice - che nel mese di dicembre, invece, per il periodo della novena, sfila per le strade dell’isola con il bambinello, e nessuna manifestazione eclatante. Tutto si è svolto in chiesa, con l’aiuto alle famiglie bisognose, anche con i buoni spesa».
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Per i lampedusani il Natale è l’estate. Con tutto il movimento creato dai flussi di persone che arrivano. D’inverno i residenti partono per le loro vacanze. Lampedusa è un’isola che accoglie, che custodisce storia, silenzi, spesso dolore.

Come quello provocato dalla fine del piccolo di sei mesi, Yosuf, sepolto lì a novembre, alla presenza del sindaco, delle forze dell’ordine, dei parroci, delle associazioni del territorio, e con la presenza virtuale del suo papà, che dalla Libia ha assistito, in videochiamata, alla funzione.

«Sulla sua tomba in tanti vanno a pregare – dice Don Fabio – tanti isolani vanno a portare un fiore». È stato un momento struggente, lacerante, di cui ha parlato il Paese intero, e che divide le coscienze e la popolazione stessa, all’origine unita nell’accoglienza, salvo poi, con l’arrivo dello "Stato", accusare irrigidimento sul tema, come accade quando si scatena la guerra tra poveri, quando il dare ai bisognosi diventa un togliere ad altri, che si sentono defraudati e finiscono con il vedere negli ultimi addirittura il nemico da combattere.

Il 14 novembre scorso, nel cimitero di Lampedusa, si è svolta la sepoltura di Yusuf Ali Kanneh, ennesimo martire innocente del Mediterraneo. «La morte di questo piccolo seme possa far nascere nei nostri distratti e indifferenti cuori e nei cuori di coloro che ci governano e reggono lo sorti della nostra Europa e della nostra Italia, la consapevolezza che, da come trattiamo e accogliamo i più piccoli, dipenderà il futuro del nostro paese e della nostra salvezza», scrisse allora, sul suo profilo facebook, Don Fabio Maiorana.

«Sull’isola – aggiunge - non è tutto come la tv ce lo mostra. Il turista non viene disturbato e gli sbarchi in estate, tranne alcuni episodi, che riguardano ad esempio l’isola dei Conigli, sempre molto frequentata dalla gente, non interferisce con le presenze straniere. Parlo spesso con chi ha assunto un atteggiamento di chiusura, dicendo che noi saremo giudicati sull’accoglienza al più piccolo dei nostri fratelli, e su questo bisogna riflettere».

Lampedusa è un’isola giovane, fatta di molte famiglie giovani, e di pescatori. Ci sono tre scuole superiori importanti e adesso è stata aperta anche la nuova ala dell’hot spot risistemata dal direttore, Gian Lorenzo Marinese, dove i migranti vengono accolti, ma sono di passaggio, in attesa di identificazione e prima che la Prefettura faccia le sue scelte.

Degli sbarchi, Don Fabio sa parlare bene. Ne ha vissuto uno dopo essere giunto sull’isola da una settimana appena: il 7 ottobre, quando persero la vita, naufragando in mare, 13 donne. «Erano certamente di più, ma quelli furono i corpi ritrovati. Per noi l’accoglienza è Vangelo, come dice Papa Francesco, per noi è servizio dovuto».

Quando arrivano a Lampedusa sono in molti ad aiutare, al porto Favarolo, con conforto immediato: acqua, the caldo. C’è un gruppo che fa parte di un’associazione, Mediterranean Hope, di cristiani evangelici, e poi c’è la Casa della Fraternità, detta dell’ospitalità.

Presenti sul posto anche tre suore, che aiutano sia i parrocchiani che i migranti, e vivono vicino alla parrocchia. «La nostra destinazione – dice Don Fabio – è di nove anni sulla terraferma e di cinque anni nelle isole. – A Lampedusa vivo da un anno. Respirandone la tranquillità».

E lo fa immortalando spesso le acque chiare, limpide e cristalline anche d’inverno. Quelle "piscine naturali", come lui le chiama, che sanno accogliere le speranze di chi vi arriva in cerca di una pace sempre lontana. Donando il silenzio, e la forza, a chi si dedica alla popolazione come costruttore di umanità.
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