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È stato smembrato per decenni: ora torna a splendere un prezioso altare allo Spasimo

Dopo anni di abbandono e dimenticanza nella Villa San Cataldo di Bagheria l’altare del Gagini è stato ricostruito nella chiesa di Santa Maria dello Spasimo a Palermo

  • 9 luglio 2020

L'altare ricomposto del Gagini allo Spasimo di Palermo

Quello che fu la culla dell’opera “Spasimo di Maria Vergine” di Raffaello Sanzio, oggi custodita al Museo del Prado a Madrid, torna ad essere presente nella splendida cornice marmorea, interamente restaurata, che Antonello Gagini ideò intorno al 1516 per accoglierla.

Dopo anni di abbandono e dimenticanza presso la Villa San Cataldo di Bagheria, ritrovato ben 34 anni fa grazie all’intervento della studiosa Maria Antonietta Spadaro, l’altare è stato ricostruito e rimontato all’interno della chiesa di Santa Maria dello Spasimo a Palermo grazie ad un progetto di recupero ideato da Vittorio Sgarbi e Bernardo Tortorici di Raffadali, inserito tra le manifestazioni per i 500 anni dalla morte di Raffaello, coordinate da un comitato scientifico nominato dal MiBaCT.

L’altare in marmo di Carrara è costituito da due colonne alte 3,30 metri, ricche di soffici grappoli intarsiati , che reggono una trabeazione, anch’essa a motivi vegetali, conclusa da un classico timpano che nello spazio interno accoglie un altro decoro.
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Ma questo piccolo scrigno di bellezza e valore artistico, oltre a risiedere in uno dei luoghi più caratteristici della città, ritorna in qualche modo, grazie alla tecnologia moderna, completo grazie al lavoro di ri-materializzazione dell’opera di Raffaello, a cura di Factum ARTE, un team di storici, artisti, restauratori ed esperti di software 3D dell’organizzazione internazionale fondata da Adam Lowe a Madrid che, oltre a collaborare con alcuni tra i più famosi artisti contemporanei nella realizzazione delle loro opere, è impegnata nella valorizzazione del patrimonio artistico mondiale.

La storia della tavola di Raffaello è strettamente legata sia a quella dello Spasimo e sia all’altare del Gagini.

La chiesa di Santa Maria dello Spasimo, finanziata dal giureconsulto Jacopo Basilicò e approvata da Papa Giulio II nel 1509, fu realizzata da maestranze spagnole.

L’ingresso era preceduto da un atrio, aperto da un grande arco ribassato e affiancato da due cappelle simmetriche coperte da cupolette (ne rimane solo una). Il Basilicò decise di commissionare al più famoso pittore del tempo, Raffaello Sanzio, un dipinto che raffigurasse proprio lo Spasimo di Maria Vergine, cioè il dolore della Madonna nel vedere il figlio cadere sotto il peso della Croce sulla via del Calvario.

Raffaello, ispirandosi ad un’incisione del tedesco Dürer, realizza l’opera intorno al 1517. È il Vasari a raccontare il naufragio della nave che trasportava lo Spasimo lungo le coste liguri, del ritrovamento della tavola da parte dei genovesi che tentarono di appropriarsene e dell’intervento di papa Leone X perché fosse riconsegnata ai palermitani.

Fatto sta che lo Spasimo giunge a Palermo tra il 1518 e il 1519 e viene collocato nella cornice marmorea del Gagini. È un’opera straordinaria, la più grande (cm. 318x229) mai completata da Raffaello: di un’assoluta armonia formale e cromatica nelle figure e nel paesaggio, equilibrio compositivo e rigore prospettico.

L’altare e la tavola, tanto venerata dai palermitani, seguono i monaci olivetani nel trasferimento dallo Spasimo al monastero di Santo Spirito. Ma nel 1661 l’abate Clemente Staropoli, tramite il viceré Francesco de Ayala, dona il prezioso dipinto a re Filippo IV di Spagna, sostituendolo con una copia.

L’opera, conservata nella cappella dell’Escorial, ha rischiato di essere distrutta in un incendio poi è razziata dalle truppe napoleoniche e trasportata a Parigi dove, nel 1812, è trasferita dalla tavola originaria su tela. Restituita alla Spagna, entra nella collezione del Prado di Madrid dove è esposta tuttora.

Ai monaci olivetani resta invece l’altare per un altro secolo ma quando si trasferiscono a San Giorgio in Kemonia, lo abbandonano alla cappella di San Luigi Gonzaga, nella chiesa del Collegio Massimo dei Gesuiti, l’attuale Biblioteca Regionale, dove fu modificato per incorniciare il rilievo “Apoteosi di San Luigi” di Ignazio Marabitti del 1763.

Tra il 1888 e il dopoguerra l’altare fa parte della collezione del Museo Nazionale ma è troppo ingombrante per essere trasferito all’Abatellis: viene restituito ai Gesuiti che smembrano l’insieme, il rilievo del Marabitti a Casa Professa e l’altare, diviso in pezzi, a Villa San Cataldo a Bagheria.

Dopo anni di oblio, però, dato per disperso sotto le bombe americane è stato ritrovato e, 34 anni dopo, finalmente ricomposto in tutto il suo splendore.
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