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Era punto di ritrovo per gli "alternativi" di Palermo: l'epoca (dark) di Miele in via Roma

Era facile distinguerlo dagli altri negozi, difatti le sue vetrine mostravano accessori e abiti dai gusti particolarmente ricercati. Ma il suo vero nome in realtà era un altro

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 30 aprile 2024

Il negozio Miele a Palermo

Sono due le cose! O il mondo è assai malaminnitta nei miei confronti oppure, nonostante io mi senta ancora un picciuttieddu, il tempo passa inesorabilmente.

A parte il "signore" che mi viene rivolto nei negozi e che mi fa male come una fidduliata al cuore, mi ritrovo ad autoinfliggermi delle ferite emotive con le mie elucubrazioni mentali.

Mi capita di fare determinate considerazioni, solo pensate o riferite ad amici o parenti, sulla gioventù di oggi e subito dopo mi immagino con la giacca di flanella, il bastone e la coppola dinanzi ad un cantiere a dare spiegazioni agli operai su ciò che devono o non devono fare.

In ogni caso mi ritrovo a dire frasi del tipo, "ma chi schifiu i musica ascoltano?" oppure, osservando un gruppetto di ragazzi, “ma chi ni pigghi?”, ma la peggiore è "ma comu minchia sù vistuti?".

Quest’ultima frase, in particolare, me la sentivo ripetere spesso da genitori e parenti ed una volta che la espressi con la mia dolce metà, fu lei stessa a ricordarmi il passato, "perché, tu alla loro età eri meglio?".
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Ecco sono queste quelle frasi che ti colpiscono al petto passandoti da parte a parte, lasciandoti in uno stato di ebetismo e realizzazione della realtà dei fatti, soprattutto in considerazione del fatto che lei, facendo l’insegnante, di sta roba ne vede parecchia. Devo ammetterlo non ero per nulla meglio.

Anch’io avevo l’orecchino ed il piercing al sopracciglio, una volta mi colorai persino i capelli di azzurro ed ascoltavo musica forte, quella della gente morta (citando un famoso film) che da chi era più grande veniva semplicemente considerata vucciria strumentale.

Su quest’ultimo punto debbo dare l’onore delle armi a mio zio Roberto, il quale mi diede libero accesso alla sua ampia libreria di vinili ed al suo impianto HI-FI con casse di livello "tascio con la uno turbo alla 3 di notte che fa tremare i vetri".

In fin dei conti quindi sì, non ero molto diverso alla loro età. E poi le "solite cose", si andava ad inquietare i "fimminiedde" e pigghiare pu culo i masculiddi nei licei, si cantavano le canzoncine irriverenti alla polizia che veniva a sgomberare la scuola a tempo di occupazione, che mischini quelli facevano solo il loro lavoro, e ci si aggaddava per differenti ideologie di pensiero con altre scuole.

Insomma, a tutti gli effetti tempi di stupidità giovanile, tempeste orminali e tumulti adolescenziali in cui le minchiate - pensate, dette e fatte - un ci bastava un funnacu per contenerle.

Si credeva di avere il mondo in mano e di poterlo spaccare come le corna dei babbaluci che spaccano i balate, senza capire che il mondo non voleva completamente essere spaccato e che alla fine sarebbe stato lui a spaccare noi.

A parte le nostalgie, di quei tempi ricordo anche le mode che provenivano dal continente, che ci dividevano grossomodo in due categorie, i tisckitoski e gli scafazzati, che nella Milano da bere erano identificati come i paninari ed i metallari.

In mezzo c’era un sottobosco variegato di vie di mezzo. Mentre i primi avevano una sorta di divisa fatta da Timberland o Alpinestars ai piedi, jeans Levi's, piumino Moncler, giubbotto Barbour o Slam, i secondi, a cui appartenevo io, sembravano degli scappati di casa che vestivano per lo più con le cose che si trovavano ai Lattarini.

Nella mia memoria ho ancora un film di quegli anni, "italian fast food", in cui l’attore Enzo Braschi, capo dei "paninari", organizzava una sorta di incursione che finiva a timpulate per lui, in un locale frequentato da soli metallari.

La cosa buona è che non feci mai spendere troppi soldi ai miei per il vestiario, ripudiavo le firme e le uniche spese consistenti erano quelle fatte per qualche maglietta o felpa a tema musicale o toppe ed accessori in tema.

Ai tempi in cui Amazon era ancora una scintilla embrionale nella testa di Bezos, il negozio di riferimento, per noi scafazzati (o "alternativi" che dir si voglia) a Palermo era "Miele", il cui vero nome in realtà era Black Miele, in via Roma.

Era facile distinguerlo dagli altri negozi, difatti le sue vetrine mostravano accessori e abiti dai gusti particolarmente ricercati. Ricordo ancora bene i gestori, il signor Enzo che sembrava essere u patruni e poi Katia e Provvy (spero di ricordare bene), che ti accoglievano dentro con sottofondo di Metallica, Led Zeppellin o Sepoltura, mentre "quelli" fuori ci davano dentro di Duran Duran e Spandau Ballet.

Da Miele comprai il mio primo portafogli da motociclista con catena, usato fino ai tempi dell’università, quando mi si polverizzò nelle mani per l’usura, e poi magliette e toppe da mettere sullo zaino che usavo per scuola.

Miele fu anche "responsabile" del mio primo "finto" piercing. Da loro comprai un orecchino ad anello che con una leggera pressione si poteva mettere all’orecchio, anche se bastava un minimo movimento brusco perché volasse via, cosa che mi convinse a fare il buco vero, con l’aiuto di una mia compagna che utilizzò strumenti altamente professionali come ghiaccio ed un ago da cucito, facendomi buttare sangue nel vero senso della parola e procurandomi un ematoma che sembravo Dumbo.

Memore della cosa, il piercing al sopracciglio lo feci presso uno studio tatuaggi ed andò tutto bene.

L’atmosfera decisamente Dark-gotica rendeva Miele più di un semplice negozio, era un punto di riferimento, un ritrovo in cui vedersi con gente che vestiva e pensava come te, per parlare di generi musicali alternativi, al pari dell’altrettanto famoso negozio "Ellepi".

Fu da Miele che incontrai quelli che furono i miei compagni d’arme dei "Lavanda gastrica", un gruppetto musicale di cui ero la chitarra, messo sù a cumegghiè.

Anche se non eravamo proprio la nuova stella nascente del panorama musicale italiano, Miele ci permise di esporre la locandina, fatta ai tempi con i pennarelli su un foglio di carta e poi fotocopiata.

In quel periodo, la via Roma era ricca di negozi ed in gran fermento, ed al pari delle famiglie che venivano con la corriera dai paesi per rifare il guardaroba o comprare il corredo, da Miele potevi trovare altri "alternativi" di fuori città che andavano lì appositamente per i loro acquisti.

L'ultima volta che misi piede da "Miele" fu nel 2019, quando erano già appesi i cartelli in vetrina che ne annunciavano l’imminente chiusura. Un altro pezzo della memoria storica di Palermo e delle mia adolescenza che andava via.
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