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Gli ebrei imeresi e la fiorente Giudecca: quando il Regio decreto spazzò via un pezzo di cultura

Con l'editto del 1492, la comunità ebraica siciliana, dopo quindici secoli, si ritrovò sconfessata nella sua sicilianità e svanirono artigiani, commercianti e intellettuali

Roberto Tedesco
Architetto, giornalista e altro
  • 23 maggio 2021

Piano Barlaci, parte della Giudecca di Termini Imerese

Intorno all'Anno Mille in diversi luoghi della Sicilia convivevano arabi, longobardi, slavi, berberi ed ebrei. Si trattavano di comunità pacifiche cosmopolite capaci di generare notevoli interessi economici e culturali.

Così, nel cosiddetto Basso Medioevo, la Sicilia si trova ad essere crocevia di miscellanee culturali comprese tra l'asse iberico-ottomano e quello arabo-normanno. Una coabitazione che venne infranta nel XV secolo dall'intransigenza del grande cattolicesimo spagnolo che provocò uno sconvolgimento nella struttura economica e sociale con la conseguente trasformazione urbanistica delle città.

Pertanto, con l'editto di Ferdinando il Cattolico del 1492, la fiorente comunità ebraica siciliana, dopo quindici secoli, si ritrovò sconfessata nella sua sicilianità. Con quel regio decreto, imposto dal nascente regno di Spagna, non svanirono solo artigiani, commercianti e intellettuali, ma anche un pezzo di cultura.
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Anche la città di Termini Imerese, si poté fregiare di una comunità ebraica ben integrata nella società di quel tempo che si reggevano con leggi e magistrati propri. Gli ebrei imeresi si insediarono tra il pianoro di San Giovanni fino a lambire le attuali Chiese di San Marco e della Maggior Chiesa fino a giungere la fortezza del Castello.

Erano i quartieri denominati Ruga, Celtigegne e Barlace, un ampia porzione di città, in parte urbanizzata e in parte costituita da grandi estensione di terreno "libero". A tal proposito è opportuno precisare che, in Sicilia, gli insediamenti ebraici non erano recintati in ghetti, anche perché la segregazione venne sancita successivamente alla diaspora con la Bolla di Papa Paolo IV del 1555.

A Termini Imerese esisteva una Sinagoga e un cimitero, ques'ultimo destinato esclusivamente agli ebrei, per poi essere successivamente spostato fuori le mura della città nell'attuale Piazza Sant'Antonio e in prossimità di "Porta Caccamo". Oggi sono poche le informazioni in merito alla collocazione del "macello", anche se molti studiosi concordano che doveva allocarsi in prossimità della porta di Santa Caterina, oggi non più esistente.

La comunità giudaica si raggruppa e si sviluppa attorno al nucleo centrale della Sinagoga, detta anche Meschita. Quest'aera era chiamata il "quartiere giudaico" , la Giudecca, così da come si deduce in diversi atti notarili di quel tempo. In uno di questi, a firma del notabile Giuliano Bonafede, del 9 ottobre 1401, si evince della presenza di una "Moschita delli Giudei di Termini". Questo è il più antico documento, fino a oggi rinvenuto, che attesta la presenza dell'edificio sacro proprio in quest'area.

Lo stesso notaio, qualche anno dopo e precisamente nel 1404, redige la vendita di due corpi di Bibbia, tra un Giudeo di Termini ad un altro di Caccamo, per un importo pattuito pari a venti tarì. In merito al termine Moschita, l'erudito Ignazio Candioto nel 1950, trascrisse un monografia dell'accademico Euraceo, Mariano De Michele (1770 – 1848) interamente dedicata all'ebraismo a Termini Imerese, dove si legge: "essendo la Sinagoga degli Ebrei di Termini denominata colla voce Moschita, io mi do a credere, che questa sinagoga, ed in conseguenza la comunità degli Ebrei di Termini, doveva esistere nel tempo che la Sicilia era soggetta ai Saraceni".

Tale affermazione se pur non supportata da fonti antiche locali è certamente da ritenere credibile, proprio perché, a quel tempo, in Sicilia la convivenza tra diverse culture religiose non era affatto una anomalia anche perché il rispetto interreligioso e multiculturale erano delle prerogative che si manifestarono sin dall'inizio del regno di Ruggero II, dove ebbe inizio una vera e propria "fusione culturale". Purtroppo, non sono pervenuti documenti antecedenti al XV secolo a causa della distruzione della città da parte delle truppe angioine di Carlo di Artois nel 1328.

Di certo possiamo sostenere che l'insediamento giudaico doveva essere piuttosto antecedente, anche perché non si giustificherebbe le dimensioni del quartiere. Ad ogni modo molto studiosi locali, come il De Michele e Di Giovanni, sono concordi nel sostenere che la loro presenza in città avvenne a seguito della distruzione di Gerusalemme del 70 d.C.

Gli Ebrei ebbero certamente un ruolo di primo piano nella società termitana, soprattutto nel settore del commercio e dell'artigianato e solo per pochi mesi non videro l'edificazione di una nuova Sinagoga. Infatti, prima del famigerato editto di Ferdinando II d'Aragona, e più precisamente il 28 Aprile del 1492, su richiesta del Sacerdote Lazzaro della comunità ebraica venne accordato, dal Vicerè Don Fernando de Acuna y de Herrera, di fabbricare un nuovo edificio religioso in prossimità della Chiesa di Sant'Antonio Abate.

Nel XVI secolo, Luca Waddingo, nella sua opera chiamata "Historia", così scriveva sugli ebrei imeresi: «il re Ferdinando il Cattolico bandì e cacciò da tutta la Sicilia li Giudei, e con questa occasione nella città di Termini Imerese li Giudei che vi erano se ne andarono lasciando abbandonata la loro Moschea e Sinagoga, dove si raccoglievano per fare le loro cerimonie.»

Successivamente, fu il Francescano dell'Ordine dei Minimi (della Scarpa) Giacomo di Leo che, nel 1498, fondò il monastero di Santa Chiara sotto il titolo della Madonna della Catena, che ottenne da Papa Alessandro VI il permesso di utilizzare la sinagoga già abbandonata.
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