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Grazie Diego!, rimarrai sempre il numero Uno: "dio del calcio" dal sinistro prodigioso

Gli bastava quel sinistro prodigioso che usava con tale maestria, fantasia, immaginazione e inventiva che sembrava (all'avversario, e non solo) che di piedi ne avesse due e perfino tre

  • 25 novembre 2020

Diego Armando Maradona

Torno a casa dallo Stadio che sono una furia per quel gol galeotto al 95’ con cui la Turris beffa in extremis il Palermo e si porta via i tre punti. Sono torvo, intrattabile, mia moglie mi dice qualcosa ma io sento solo un fastidioso ronzio nelle orecchie: sempre così quando il Palermo perde.

Ora scrivo il pezzo e mi passa. Se non che, appena accendo il pc e vado su Google una notizia mi salta addosso come una iena infoiata: "È morto Maradona". Lo stupore è così forte che stento a credere a quel che leggo: "Non è possibile!… L'operazione alla testa era andata bene…".

È una notizia che mi fa star troppo male; non l'accetto e cerco una via di fuga. "Ogni tanto fanno morire qualcuno dal grande nome - mi dico - solo per fare scalpore, sono degli sciacalli… No, non può morire così il “dio del calcio".

E invece è successo e quando me ne rendo conto mi sento come se qualcuno mi avesse derubato di qualcosa di prezioso: il mio non è solo dolore ma, di più, è incredulità, è stupore. Maradona aveva mille difetti come persona, non era certo un modello di vita ma, nel suo mestiere, era il numero UNO perché nello sport di squadra per eccellenza qual è il calcio lui rappresentava una sublime variazione al tema e da solo faceva per undici, e da solo risolveva anche la partita più scorbutica del mondo.
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Gli bastava quel sinistro prodigioso, laddove le moderne teorie del calcio futuribile affermano, senza tema di smentita, che un vero campione deve usare entrambi i piedi. E Maradona, invece, usava solo il sinistro, ma lo usava con tale maestria, fantasia, immaginazione e inventiva che sembrava (all'avversario, e non solo) che di piedi ne avesse due e perfino tre.

Insomma, con quel sinistro faceva quel che voleva; non era solo un piede; era prensile e sensibile meglio di una mano. E anche di due. Ricordo una sua punizione contro la Juventus - in porta Stefano Tacconi, mica uno qualunque - dentro l'area di rigore per gioco pericoloso, con la barriera che gli copriva interamente la visuale, con il fondo campo melmoso per l'abbondante pioggia caduta.

Già il solo pensiero di scavalcare quella muraglia umana che aveva davanti avrebbe scoraggiato qualsiasi altro giocatore al mondo, ma non lui. Ricordo la sua breve, brevissima rincorsa e il colpo sotto alla palla, come se avesse scavato a due mani sul terreno argilloso. Ricordo quella traiettoria impossibile, anche sotto il profilo della fisica e della dinamica.

Ricordo quel pallone scavalcare la testa dei "barrieristi" e, per l'effetto speciale che aveva ricevuto, abbassarsi d’improvviso, come sospinta da una misteriosa forza centrifuga. Risultato: Tacconi a occhi sgranati che guarda il pallone incunearsi nel "sette" della sua porta. PRODIGIOSO.

Ebbene, tutti i suoi vizi di uomo scapestrato, ingordo umanamente e qualche volta anche moralmente (la cocaina, le donne intercambiabili, i figli, legittimi e non) svaniscono come nebbia al sole nel ricordo che io, innamorato marcio del gioco del calcio, conserverò per sempre di lui.

Sì, più che triste sono arrabbiato, perché, col Palermo che ai tempi di Maradona al Napoli, vivacchiava tra serie C e serie B, non ho mai potuto ammirarlo nel mio stadio: avessi potuto farlo, mi sarebbe bastato stringergli la mano e dirgli: "Grazie, Diego!", anche se, magari, aveva appena segnato il gol della vittoria contro il mio Palermo.
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