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Il vino inventato dall'erede degli Orleans: ha il nome di una contrada vicino a Palermo

Aveva 2000 ettari interamente ricoperti di viti importate dalla Francia e dalla Spagna. Possedeva anche il Catarratto e l'Inzolia qualità di viti siciliane

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 29 aprile 2023

La Contrada Zucco

Il vino è considerato il nettare degli dei e da agli uomini nell'ebbrezza il potere di vedere cose che da sobri non riuscirebbero neanche ad immaginare.

Così i poeti descrivevano il succo divino, il dionisiaco liquore, emblema dei piaceri della vita. Così, dal mito, sembra che sia stato “travasato” ad un principe della terra il potere divino di creare una sì deliziosa bevanda al fine di incantare l'assopito palato degli uomini.

Così nella mitologica Trinacria nacque il pregevole vino dello Zucco, una località in provincia di Palermo tra Montelepre, Partinico e Terrasini, grazie all'impresa del principe reale Enrico Filippo d'Orleans duca d'Aumale. Enrico nacque da Luigi Filippo I d'Orleans re dei francesi, nonché di Francia, e Maria Amalia di Borbone, figlia di re Ferdinando di Borbone, il 16 gennaio 1822 a Parigi.

Letterato e militare audace, che si distinse nella guerra di Algeria, nel 1856 eredita dalla famiglia il Palazzo d'Orleans a Palermo, sito a piazza Indipendenza, attuale sede della Presidenza della Regione Siciliana, insieme a vaste tenute nel capoluogo siciliano che egli ingrandirà sino a raggiungere un'ampiezza di 2000 ettari.
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Si legge nella Nuova antologia di scienze, lettere ed arti di Roma dell'anno 1894 che il duca d'Aumale «comperò (da Vincenzo Maria Grifeo duca di Floridia e principe di Partanna) l'ex feudo Zucco nel 1853, cominciò a fare vigneti nel 1860».

Aveva 2000 ettari interamente ricoperti di viti importate dalla Francia e dalla Spagna. Possedeva anche il Catarratto e l'Inzolia qualità di viti siciliane.

La sua azienda, che comprendeva fino a 600 impiegati, contribuì a sviluppare nuove tecniche di produzione del settore vitivinicolo, in particolare con l'impiego del bianco d'uovo per migliorare il sapore del vino. Riportava la rivista che «nella grande fabbrica a Terrasini sul mare» aveva migliaia di botti e che l'intero prodotto si esportava in Francia e in Inghilterra.

Non solo i Florio, quindi, non solo gli inglesi Whoodhouse e Ingham-Whitaker avevano grandi fabbriche e vendevano all'estero i loro prodotti, ma anche una casata reale francese discendente addirittura da Luigi XIV, il re Sole.

Per gli amanti del sapore vale la pena riportare quanto è scritto sugli Atti della Giunta dell'inchiesta agraria del 1885 in merito alla qualità del vino "principesco" dello Zucco: «Lo Zucco è bianco e rosso. Il primo si ricava quasi esclusivamente dall'uva Cataratto, il secondo dall'uva Perricone.

Il bianco è vino sul genere del Marsala, ma Marsala finissimo e delicatissimo. Deve attribuirsi alla contrada tale rassomiglianza per la quale questi due vini hanno un fondo di aroma comune che li mostra di primo acchito appartenenti allo stesso stipite, ben diverso, per esempio, da quello dei vini siracusani. A mio avviso tra i vini siciliani tra quelli a tipo costante e preparati in grande quantità, lo Zucco è oggidì il migliore. Lo si vende solo in bottiglie al prezzo di lire 2 all'ingrosso, e di 2,50 al minuto.

Lo Zucco rosso è pure vino pregevolissimo, asciutto, tonico, che potrebbe servire come corroborante in molte convalescenze, e che meriterebbe d'esser meglio conosciuto ed apprezzato, tanto in Italia che fuori». Vale sempre la pena riportare in auge l'eccellenza del passato per apprezzare quanto eccelle oggi nel nostro tempo e nella nostra terra.

Chissà che non ritorni un motivo di orgoglio che faccia decollare l'economia della nostra isola, troppo spesso subordinata alle logiche di mercato imposte, quelle logiche di mercato che coinvolsero dopo l'Unità d'Italia i Florio e anche lo stesso duca d'Aumale quando ad entrambi, e a molti altri imprenditori, furono imposte delle nuove tasse e mosse molte accuse contro il loro operato dalla Regia Finanza.

In particolare il duca d'Aumale fu accusato di creare nelle sue fattorie, oltre al vino, un liquore detto Vermouth e di ricavare altri profitti “a nero” da altri prodotti creati illecitamente.

Ma per sua fortuna fu scagionato da queste accuse. Il prestigio e l'abilità di questi grandi uomini del passato che hanno reso grande l'industria siciliana dovrebbe caricarci di positività perché insieme alle loro attività si creò un'economia circolare che fu motore e volano di sviluppo in tutti i settori dell'economia locale dall'artigianato all'arte, all'edilizia, alla siderurgia, all'eno-gastronomia, ecc.

Loro credevano in se stessi, sarebbe l'ora che anche noi cominciassimo a farlo. Il duca d'Aumale morì a 75 anni il 7 maggio 1897 nella sua abitazione di contrada Zucco per arresto cardiaco.

Trovo utile riportare le ultime parole di un articolo a lui dedicato in occasione degli ultimi saluti da parte della gente e della terra che per tanti anni lo accolse e apprezzò: «Gran signore in tutta l'estensione della parola: nel tratto amabile, nel discorso, ne' libri, nei gusti raffinatissimi; il duca d'Aumale lascia una fortuna colossale.

Vasti e ricchi sono i suoi possedimenti in Sicilia dove si recava ogni anno "per far provvista di salute" com'egli si esprimeva.

Volle che la sua salma fosse portata nella piccola città di Dreux, nelle tombe avite degli Orleans. Il feretro ravvolto nella bandiera francese venne portato dai contadini di Zucco a Palermo, dove, alla presenza della famiglia Orleans furono celebrate esequie solenni.

Il governo italiano mostrò grande deferenza alla memoria dell'estinto; offerse una nave da guerra per il trasporto del feretro; ma l'offerta non venne accolta. La Sicilia perde il suo ospite straniero e il suo possidente più illustre; gli artisti siciliani perdono un intelligente e affabile mecenate».
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