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In Sicilia le cassatelle le prepari pure con i ceci: la ricetta facile (e perfetta per Pasqua)

Una specialità da riscoprire che ormai si trova solo in alcune zone della provincia di Palermo. Vi diamo la ricetta per prepararle facilmente anche a casa vostra

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 26 marzo 2024

Cassatelle di ceci

Un antico detto siciliano recita "Cui nn’appi nn’appi di li cassateddi di Pasqua”. (Trad. Chi li ha avuti li ha avuti, i dolci di Pasqua).

Il significato è che quando finisce quello che c'è a disposizione, nessuno può avere più niente. Beato chi è avvantaggiato per tempo, perchè finito il periodo d’oro non ci sono più benefici per nessuno. Per dirla in due parole: carpe diem.

In Sicilia si preparano diversi tipi di cassatelle. Si può dire…paese che vai, cassatella che trovi! Le tipiche cassatelle della Sicilia occidentale (Palermo, Trapani) sono ravioli dolci fritti, hanno forma di semiluna e sono ripieni di ricotta: una volta si preparavano durante il periodo di Carnevale, adesso si trovano tutto l’anno nelle pasticcerie.

Tipiche del periodo Pasquale sono le cassatelle di ricotta che si realizzano a Ragusa; si tratta di cestini di pasta sottilissima (creata con farina di semola, uova, zucchero e vino marsala) ripieni di ricotta (o di tuma), cotti in forno.
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Di solito le cassatelle di ricotta si sfornano il Venerdì Santo per poi metterle in tavola nel giorno di Pasqua. Un tempo, come ci ricorda anche lo studioso di tradizioni popolari Giuseppe Pitrè, si preparavano a Palermo anche le cassatelle con ripieno di ceci: simili all’esterno a quelle di ricotta, erano delle paste dolci fritte farcite con una purea di ceci raddolcita con miele e frutta secca.

Il Pitrè così definiva la cassatella "è dolce in foggia di raviola, ripieno di ceci cotti pesti e impastati con miele e vino cotto". (Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, 1889).

Dai registri contabili del 1823 del monastero di Santa Chiara di Palermo risulta che anche le clarisse preparavano ravioli con ceci dolci”.

Oggi la cassatella di ceci (cassatedda di ciciri) si realizza solo in alcuni centri della provincia di Palermo, come Borgetto, Balestrate, Partinico; raramente si trova nei bar e nelle pasticcerie, di solito a prepararla sono le mamme e le nonne.

La sfoglia deve essere tirata sottilissima e riempita di una purea di ceci, addolcita e speziata. Si ritagliano con la rotella dentellata delle paste a forma di semiluna da friggere in olio bollente e da consumare tiepide, cosparse di zucchero semolato.

Anche le cassatelle di Agira (En), cittadina dell’entroterra siculo, arroccata sul Monte Teja, che ha dato i natali allo storico greco Diodoro Siculo, contengono un ripieno di ceci e cacao. Si tratta di dolci di pasta frolla (senza lievito) che vengono cotti in forno e spolverizzate di zucchero a velo prima di essere servite. Il cece è un legume che si consuma sin dalla notte dei tempi: l’uomo se ne ciba da circa ottomila anni.

In Sicilia i ceci non solo hanno avuto da sempre un ruolo chiave nell’alimentazione popolare, si pensi ad esempio alle celebri panelle, ma sono legati a un curioso aneddoto storico che risale alla rivolta del Vespro del 1282. All’ora del Vespro scoppiò a Palermo un tumulto anti-angioino: “l’ira vendicatrice del popolo cadeva sull’oppressore straniero”.

Si racconta che quando i siciliani si ribellarono agli Angioini iniziò una vera e propria caccia, che durò un mese e i francesi vennero sterminati a migliaia (nella sola Palermo ne vennero trucidati almeno 4000).

Gli angioini cercavano di nascondersi, di confondersi con il popolo, ma i Siciliani mostravano ai sospetti un pugno di ceci, intimando "dici ciciri" e quelli che venivano traditi dal loro accento francese, pronunciando scisciri invece di ciciri venivano uccisi.

Curiosamente la medesima storiella esiste anche in Sardegna: il 28 aprile di ogni anno si ricorda “Sa die de sa Sardigna”, cioè l’insurrezione popolare del 1794 contro il governo sabaudo. Il popolo sardo cacciò da Cagliari tutti gli ufficiali piemontesi, incluso il viceré (unica eccezione fu fatta per l’arcivescovo Vittorio Melano).

Secondo la tradizione, i Cagliaritani utilizzarono lo stratagemma linguistico del «Nara Cixiri» – «dì ceci» - per individuare i Piemontesi nascosti nel capoluogo. Quelli che non sapevano pronunciare bene la parola “cixiri” rivelavano di non essere Sardi e così venivano imbarcati a forza.

Si usa il termine shibbòleth per indicare come in questi aneddoti una parola o espressione molto difficile da pronunciare per chi parla un'altra lingua o un altro dialetto. Chi non è capace di pronunciarla correttamente viene quindi riconosciuto come straniero.

Ingredienti
300 g di farina 00, 100 g di burro, 100 g di zucchero semolato, 2 cucchiai di Marsala, 300 g di ceci, 1 foglia di alloro, 100 g di miele, 1/2 bustina di vanillina, 50 g di mandorle tostate, 1 limone, cannella, olio di semi, zucchero a velo,  sale.

Procedimento
Per il ripieno dovete anzitutto mettere i ceci a bagno per 24 ore. Lessateli in una casseruola, dopo aver aggiunto una foglia di alloro. Setacciate la farina e lavoratela unendo in burro a pezzetti, il vino Marsala, 2 cucchiai di zucchero semolato, una presa di sale e vanillina.

Raccogliete l’impasto, dategli la forma di una palla liscia. Lasciate riposare per 1 ora, avvolto in un canovaccio infarinato, in un luogo tiepido.

Tritate con un frullatore o con un mixer i ceci, riducendoli in crema, aggiungete le mandorle tritate, la scorza di limone grattugiata, il miele, lo zucchero semolato rimasto e un pizzico di cannella. Stendete la pasta in una sfoglia sottile e ricavate strisce larghe 10 centimetri.

Ponete al sopra ogni striscia delle cucchiaiate di crema, ben distanziate tra loro e ripiegate la pasta, in modo da racchiudere la farcia all’interno.

Ritagliate delle mezzelune con il tagliapasta e friggete in olio caldo.

Spolverizzate con zucchero a velo e cannella mescolati insieme. Servite tiepide.
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