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L'antico castello a due passi da Agrigento: è abbandonato e ha il nome di una donna

Per chi ama i vecchi manieri, il richiamo è irresistibile. Se vederlo è facile, arrivarci è tutt'altra faccenda. Anche se c'è un progetto, già finanziato, per renderlo fruibile

  • 2 settembre 2022

Il castello di Poggiodiana (foto di Lahiri Cappello)

Viaggiando sulla statale 115 che si dipana lungo la costa meridionale siciliana, all'altezza di Ribera, è impossibile non vederlo: il Castello di Poggiodiana si staglia, pittoresco e diroccato, su un poggiolo fra le anse del fiume Verdura.

Il punto di osservazione privilegiato, però, è dalla provinciale 36, una strada sinuosa che si distacca dalla statale costiera e risale fra le vigne e gli agrumeti verso l'interno e i Monti Sicani.

È su uno slargo alberato della provinciale, infatti, che è stato realizzato il belvedere dal quale si abbraccia per intero il castello.

Fra brandelli di muraglioni che si indovinano possenti, si staglia una torre rotonda con un coronamento a beccatelli, si riconoscono finestre e contrafforti.

Per chi ama i vecchi castelli, il richiamo è irresistibile. Se vedere il castello è facile, arrivarci è tutt'altra faccenda. Va detto, per cominciare, che in questo momento visitarlo può essere pericoloso.
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Si tratta di un rudere e anni di abbandono lo hanno colmato di erbacce e rovi. Ci sono anche buche e percorsi sconnessi e la strada per arrivarci, che da Ribera si dipana verso il letto del fiume, ha bisogno di un consistente intervento di riparazione.

Per fortuna, è proprio di questi giorni la notizia che il Parco Archeologico della Valle dei Templi, nel quale rientra anche il Castello di Poggiodiana, grazie a una convenzione con il Comune e il GAL per avviare i lavori, già finanziati, che consentiranno la messa in sicurezza e dunque la fruizione del bellissimo maniero.

Peraltro, l'accordo prevede anche che verrà creato un percorso di visita unico con la necropoli Anguilla, un sito archeologico con sepolture risalenti al XIII secolo a.C. che, finora, non era stato possibile aprire al pubblico.

Il Castello di Poggiodiana – o di Misilcassino, come possiamo anche chiamarlo, optando per il suo nome saraceno (“luogo di discesa a cavallo”) – è una costruzione normanna, con una superficie di circa 3000 metri quadrati che irregolarmente si dispongono su una bassa collina che, verso nord, strapiomba verso il fiume.

Per un profano i diversi ambienti sono difficilmente riconoscibili, ma vi erano armeria, scuderia, magazzini, che tutti si affacciavano su un ampio cortile.

Una scala portava ai piani superiori e agli alloggi dei signori, ormai totalmente crollati. Qualche vano di finestra, dalle leggiadre linee rinascimentali, testimonia di remota eleganza.

La fortezza serviva a difendere le comunità dei villaggi della zona, da Eraclea Minoa a Triocala (l'attuale Caltabellotta) e dunque non solo sorgeva in un luogo dal quale si poteva agevolmente controllare il territorio, per intercettare subito chiunque si avvicinasse, ma era anche dotata di spesse mura delle quali restano solo alcuni brani, e di torri, una sola delle quali è rimasta in piedi, svettando per oltre venti metri.

Il castello faceva parte della dote di Giulietta, la figlia del Conte Ruggero che, nel 1101, aveva ottenuto dal padre un vasto territorio sulla costa meridionale siciliana, che comprendeva la città di Sciacca.

In seguito passò per via ereditaria dall'una all'altra famiglia, nel Cinquecento a Gian Vincenzo de Luna, il quale lo ribattezzò castello di Poggio Diana in onore della moglie, Diana Moncada.

Per la verità, questa ricostruzione storica è controversa, perché secondo alcuni storici Poggiodiana è un castello del tutto nuovo, costruito in varie fasi a partire verosimilmente dal Trecento, e non coincide con il vecchio maniero arabo-normanno, che sarebbe invece crollato e totalmente sparito.

E anzi, a dirla tutta, era proprio da un'altra parte. Sia come sia, Poggiodiana nel Cinquecento era dei Moncada Luna ma col tempo venne abbandonato, decadde e crollò, riducendosi all'imponente, affascinante rovina che vediamo oggi.
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