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Lasciarono Messina in cerca di fortuna: ora hanno la pasticceria più ricercata di Bruxelles

"Cu non risica non rusica" è lo slogan che, appena sposati, si sono portati dietro dalla Sicilia. Era il 1971. I coniugi Lepanto da 44 anni fanno "impazzire" i vip

Marcella Ruggeri
Giornalista e conduttrice Tg
  • 22 dicembre 2021

Giovanni Lepanto ed Enza-Dato, titolari della Patisserie Giovanni

“Cu non risica non rusica” è lo slogan che si sono portati dietro dalla Sicilia nel 1971 per trasferirsi da Messina a Bruxelles: Vincenza Dato (per tutti Enza) a sedici anni e lui Giovanni Lepanto a 19 anni, novelli sposi, hanno caricato l’automobile modello 850 della madre di lui (Antonietta Presti) per cambiare la sorte e, chissà, magari fare fortuna.

Hanno viaggiato per tre giorni, dormendo in macchina e con soli 100mila lire in tasca arrivando in una metropoli molto restia e durissima ad accettare gli italiani e ancor di più i meridionali. Ci sono voluti sette anni di umili lavori per realizzare il sogno della pasticceria più ricercata di Bruxelles “Patisserie Giovanni”, il cui imprenditore principale Giovanni verrà insignito, a gennaio 2022, dell’ordine al merito del Presidente della Repubblica ovvero Cavaliere di Gran Croce.

Questo luogo fa letteralmente girare la testa di turisti e abitanti autoctoni per la golosissima offerta di cannoli, cassate, pignolate e torroni alla peloritana ma, pur mantenendo l’inquadramento convenzionale di Pasticceria, sforna una incredibile produzione di salato tra primi, secondi e contorni (come portate uniche) tipici siciliani: arancini, pitoni, pasta ‘ncaciata o al forno (targata Enza) e braciole che vanno forte,mscaloppe di pesce spada, “calamari chini” alla marinara, sarde “a’ ghiotta” e a beccafico, mpoi parmigiana, caponata, peperonata, senza dimenticare spaghetti con spada e melanzane, risotto ai frutti di mare ed insalata di polipo.
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Ad oggi, deve il suo successo al passaparola tramite l’Ambasciata Italiana che, incuriosita dagli accattivanti profumi della Sicilia, con celerità si è accorta del talento dei titolari Lepanto e li ha chiamati ad imbandire catering nella propria sede istituzionale.

Rinomati attori, cantanti, politici e personaggi della TV hanno bazzicato e bazzicano tuttora in questa “attività di culto”, avanzando richieste specifiche in base ai gusti gastronomici: per citarne alcuni, il grande Alberto Sordi, Laura Pausini, Massimo Ranieri, diversi Ministri come Tremonti nella legislatura berlusconiana.

La capitale del Belgio non è stata scelta a caso ma il fratello di Giovanni (maggiore di lui di cinque anni, di nome Angelo Roberto e già ammogliato) viveva in quel contesto e lavorava in una fabbrica metallurgica. I due fratelli erano orfani di padre, già da due anni, all’epoca della fuga degli sposini.

L’adolescente Enza, in quanto minorenne, aveva potuto lasciare Messina esclusivamente con la firma del proprio padre. Giovanni ha sempre voluto evadere da Messina avendo scoperto di essere portato verso il lavoro manuale nell’arte dolciaria, praticamente a dodici anni, tanto che ha abbandonato la scuola media per dedicarsi all’apprendistato con maestri di questo settore nella Città dello Stretto quali Venuti, Scandaliato e Irrera.

Destino incrociato è stato quello di Enza che ha anche piantato gli studi e ha iniziato anche lei a sperimentare l’universo artigianale dei laboratori di pasticceria, nella famosa attività “Venuti”, dove ha conosciuto quello che sarebbe stato il suo futuro marito.

È qui che Giovanni si è innamorato della giovanissima conterranea e «ha chiesto la sua mano al padre» - come scandisce Enza - per poterle favorire il passaggio verso una strada comune e suggellata dall’essere anche colleghi “nella dolcezza”. Dopo due mesi da quell’evento indimenticabile (a settembre del 1971), è avvenuta la partenza alla ricerca di riscatto da una Sicilia anni Settanta verso la meta europea.

Enza ha fatto parte di una famiglia umile e numerosa con sei figli (compresa lei), una storia che induce dalla notte dei tempi a rimboccarsi le maniche ed uscire presto dal tetto genitoriale e trovarsi sì un compagno di vita ma ad essere anche autonoma e di sostegno per la nuova famiglia.

Suo padre era commerciante di tessuti nei mercati mentre la madre faceva la casalinga. «I miei genitori(Luigi e Rita Domenica) mi hanno insegnato dei valori - commenta la verace chef - e a non stare con le mani in mano. Io e mio marito ci siamo fermati alla seconda media ma abbiamo preso il diploma della vita».

Così, ci strappa un sorriso o forse una lacrima o tutte e due insieme. I coniugi avrebbero voluto fare nel loro cuore, sin da subito, i pasticceri ma, puntualizziamo sempre negli anni Settanta, la Trinacria aveva ancora il marchio abominevole di «una terra associata alla Mafia - rievoca Enza -, per cui sarebbe stato complicato farci fare gli imprenditori», (se non inaccettabile, aggiungiamo noi).

Giovanni intraprese subito le orme di suo fratello nella fabbrica di metallurgia svolgendo turni massacranti nelle ore diurne e notturne perché la moglie rimase incinta del primogenito Andrea e non poté ovviamente in quel periodo lavorare; questa partorì a diciassette anni e mezzo. «Mio marito usciva il ferro caldo di notte per poter arrotondare qualche soldo in più
– chiarisce con vigore e rammarico Enza -. Quando ho potuto riprendere a lavorare, sono andata anche a lavare gli uffici, le scale e le toilette per dare il mio contributo.

Sono stata assunta da una ditta di pulizia che distribuiva molti servizi però abbiamo fatto tanta gavetta prima di toccare il nostro sogno. Anche le ville private richiedevano la mia attitudine perché ero veloce e brava ma non mi sono mai staccata dai miei datori come impiego sicuro. Mia suocera ci ha aiutato con nostro figlio Andrea e poi con gli altri».

La svolta per i coniugi Lepanto fu segnata dalla chiamata di un amico nisseno di Giovanni (Pino D’Auria) che lo reclutò per cominciare a preparare i dessert nel suo ristorante per la cena. Giovanni finalmente si sdoppiò nelle sue competenze: di giorno faceva l’operaio con i tanti rischi delle altissime temperature dalle 6:30 alle 16 e nella seconda parte del pomeriggio
indossava le vesti del pasticcere” che gli calzavano a pennello, tra l’altro molto stimato. Tutto questo per un triennio consecutivo, dai 19 ai 22 anni.

La sua abilità nel territorio messinese (seppure giovanissimo) non era un segreto per il suo amico che non esitò a fargli la proposta di guadagnarsi qualcosa extra. Ai 23 anni di Giovanni, lo stesso amico decise di aprirsi un nuovo locale come pasticceria – tavola calda (in grado di commercializzare, oltre ai dolci, anche arancini e pizzette) nel cuore di Bruxelles, vicino alla Commissione Europea e volle Giovanni al suo fianco full time che disse addio alla fabbrica metallurgica. «A Pino D’Auria dobbiamo tutto - dichiara Enza -.

Mio marito debutta nel suo mestiere in un clima ostile, i Belgi non lo vedevano di buon occhio perché avevamo altre pasticcerie locali nelle vicinanze, per quanto non c’entrassero nulla con le nostre specialità sicule. All’epoca, l’attività si chiamava ‘Pasticceria Italiana D’Auria’». Successivamente, Pino fu costretto a tornare nel Belpaese per gravi problemi di salute e fece l’ennesima proposta che rivoluzionò le loro esistenze.

«A Giovanni disse nel 1978 – prosegue entusiasta Enza -: ‘Perché non fai un prestito e ti compri l’esercizio commerciale? Tu hai il mestiere nelle mani mentre io non so fare nulla qui. Così, investimmo 20 milioni di lire che a quel tempo erano un salasso con tutti i sacrifici del caso. E mia suocera ci incoraggiò dicendo a suo figlio: ‘Prendetevelo. Non abbiate paura.

Tu Giovanni hai ingranato in questa città, in questa zona, non ha senso rinunciare o spostarsi. Rischiate! Chi non risica non rosica!». Questa frase da incitamento diventò l’emblema del loro percorso professionale ma anche della vita stessa.

Che la storia abbia inizio con poco ma con impegno smisurato. Lo spazio in sé sembrava ristretto e grezzo con il pavimento in legno ma Enza lo sistemava al meglio, partendo da piccoli dettagli come i fiori sui tavoli accompagnati da costante pulizia e abbellimento. Piano piano, con gli introiti economici giornalieri, i Lepanto riuscivano una volta a pavimentare, una volta a realizzare le vetrine fino a rendere un risultato non solo dignitoso ma soddisfacente per chi fino a quel momento si era spaccato la schiena per coltivare un sogno.

«La gente cominciava a conoscerci, la Commissione Europea attirava pezzi grossi anche messinesi -avverte Enza -. Noi non abbiamo mai fatto pubblicità. La nostra pubblicità è stata il parere positivo dei nostri clienti, di bocca in bocca, di orecchio in orecchio. La merce buona parla da sola e fa parlare di sé. Siamo arrivati a questo punto dopo oltre 40 anni e riceveremo anche il premio onorario di Cavaliere del Lavoro da parte del presidente Mattarella all’Ambasciata d’Italia».

I primi tempi i due proprietari hanno sofferto senza mai tirare i remi in barca mentre l’esplosione di bei riscontri si è registrata a metà degli anni Ottanta. «Anche quando gli utenti di altre pasticcerie transitavano davanti a noi con i vassoi in mano – si espone l’esercente messinese -, io mi sono sempre mostrata sorridente e cordiale, anzi salutavo per educazione». È questa la grinta di Enza che descrive l’energia di altre personalità del mondo delle politiche internazionali che andavano ad acquistare i prodotti della “Patisserie Giovanni” quali l’Ambasciatore Capo della Nato Pierfrancesco Fulci, originario di Patti, che ad ogni sua visita nel 1979 – ’80 ordinava due cassate e sponsorizzava il sito commerciale.

Questo si è trasformato in un luogo d’incontro istituzionale, dove poter degustare i piatti di Enza e concludere con lo sfizio o la delizia dolce di Giovanni. La miscelazione tra pasticceria e tavola calda si è perfezionata quando Enza è stata invogliata nel 1988 dagli stessi consumatori.

Trovandosi lungo la strada del locale, gli avventori multietnici sentivano l’aroma che proveniva dall’interno mentre lei cucinava per i suoi familiari e da lì la prima pietanza rivolta al pubblico è stata la cotoletta “a’ missinisi” di vitello o di pollo impanata, seguita dalle braciolette “a missinisi”.

Molti si lasciano consigliare ed utilizzano il sistema della consegne a domicilio e l'organizzazione di eventi con catering. A riconoscere il valore di questi coniugi non ci sarà solo il Cavalierato di Gran Croce per cui bisogna raccordarsi solo con Roma ma sarà anche assegnata la “Croce di Beneficenza” che va al merito di chi si è distinto per essere stato caritatevole.

Nel caso della famiglia Lepanto 36 anni fa (a maggio 1985), in occasione della partita - strage Juventus – Liverpool a Heysel che ha provocato 39 morti italiani, marito e moglie hanno prestato assistenza a molte persone distribuendo brioche, arancini, pizzette negli ospedali, ovviamente a titolo gratuito. In particolare, il loro primo figlio andava in giro con una camionetta ad occuparsi di questo soccorso di prima necessità.

Enza e Giovanni sono anche molto sensibili verso i ragazzi diversamente abili, per i quali si sono spesi donando la loro prestazione gastronomica all’Ambasciata Italiana in alcune serate di beneficenza, dedicate a loro con una partecipazione di centinaia di ospiti. L'ambasciatore Francesco Genuardi ha voluto il racconto di queste attenzioni manifestate dalla coppia di imprenditori e si è congratulato con loro; prima di lui, l’ambasciatrice Elena Basile che ha avviato l’iter a Roma per far ottenere questo ulteriore grado onorifico e li ha ricevuti a cena.

Vari soggetti di prestigio si sono mobilitati a vantaggio dei signori Lepanto, tra cui il Generale Capo delle Finanze Alessandro Butticè che li ha introdotti in uno di questi “lampi di gala” con aristocrazia italiana e belga. In tale scenario che si è tenuto alla residenza dell’Ambasciatore, l’autenticità dei Lepanto non si è smentita: Enza ha preparato pasta ‘ncaciata, cannelloni, lasagne, polpette di carne, di cavolfiore e di melanzane; Giovanni ha riempito dal vivo 150 cannoli di ricotta.

Oltre ad Andrea di 49 anni che lavora come organizzatore di eventi in una discoteca – cocktail bar attualmente chiusa, la coppia messinese ha altri due figli Luigi e Fabrizio. Luigi, il secondogenito di 46 anni, è un po' l’amministratore degli affari e gestisce le consegne e i catering. Fabrizio invece è l’interfaccia al bancone della “Patisserie Giovanni”. Il locale si avvale di 35 posti a sedere ed è come il miele per certi volti di spicco nel tessuto sociale internazionale. Romano Prodi ogni domenica ordinava pasta ’ncaciata e braciole, Michele Placido ordinava i cannoli, Antonella Clerici adora cannoli e arancini, per Eros Ramazzotti è stato allestito un catering all’Ambasciata.
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