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Arturo Stalteri, intervista all’ex Pierrot Lunaire

  • 15 novembre 2004

Le sacre scritture del rock non hanno mai risparmiato elogi ai Pierrot Lunaire e al loro virtuosismo esecutivo. A trent’anni di distanza, Arturo Stalteri, tastierista di quella band, continua ad alternare momenti di ispirazione che spaziano tra le grandi stelle del patrimonio classico, le invenzioni della nostra musica contemporanea e la preveggenza di un certo rock attuale. Tre decenni diventano un lasso di tempo indefinito, oggi, mentre Arturo ha ricevuto la targa Alea, donata dall’Associazione musicale Alea (direzione artistica di Pippo Catanzaro), quale riconoscimento ufficiale a una carriera divisa tra l’amore per la musica prodotta, analizzata e trasmessa, attraverso i microfoni di RadioRai.

Partiamo dal premio alla carriera che riceverai stasera: a cosa pensi in queste ore, tra un sound check e un’intervista?
«Questo riconoscimento non poteva arrivare in un momento migliore: nel 1974, infatti, usciva il primo album dei Pierrot Lunaire. In questo momento riaffiorano inevitabilmente una serie di ricordi: una piccola considerazione, doverosa, sul tempo che passa e il pensiero rivolto a un amico che non c’e' più, Gaio Chiocchio, anche lui musicista dei Pierrot Lunaire che in questo progetto ha creduto e dato tanto».

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In un episodio del noto cartone “The Simpsons”, Homer afferma che il rock ha raggiunto l’apice nel 1974. Attualmente ci sono nuove leve che meritano un ascolto?
«Personalmente seguo con interesse la “new wave” nordica, soprattutto quella islandese: il minimalismo elettronico dei Mum, ad esempio. Durante il concerto eseguirò al piano “Staralfur”, brano contenuto in “Agaetys Byrjun” dei Sigur Ros, altra band islandese di ottima fattura».

Secondo te come interpreteranno i posteri la musica che stiamo producendo attualmente? Si potrà parlare di musica classica analizzando certe composizioni contemporanee?
«Lasceremo ai posteri diverse tipologie di interpretazione musicale. Certamente le opere di Berio o Maderna non avranno problemi ad essere considerate composizioni di alto spessore “classico”, ma non mi stupirei se ad attirare altrettanti consensi fossero le produzioni dei Beatles o dei Radiohead. In fondo parliamo sempre di musicisti che hanno apportato delle modifiche al modo di far musica: a livello teorico ed esecutivo».

Tra il 1998 e il 2000 hai pubblicato due album, ”Circles” e “Cool august moon”, ispirati rispettivamente alle composizioni di Philip Glass e Brian Eno.
«Incontrai Philip Glass a Perugia nel 1997 per presentargli la mia idea: reinterpretare alcuni suoi brani presi da “Solo Piano” ma soprattutto “North Star” che considero fondamentale per un approccio a questo grande artista. Sono molto orgoglioso del risultato ottenuto e del consenso di Glass stesso. “Circles” è stato inserito nella discografia ufficiale del musicista di Baltimora, all’interno del suo sito internet. Decisamente più movimentata la collaborazione con Brian Eno. Ho percorso in auto milleseicento chilometri in una giornata pur di assicurarmi mezz’ora per intervistarlo e proporgli la mia idea. La cosa ha colpito e divertito lo stesso Eno che ha deciso di raccontare questo episodio nel suo libro “Futuri Impensabili”. Per quanto riguarda il disco, “Cool August Moon” mi ha particolarmente soddsifatto: un’opera di riadattamento che ha richiesto molta dedizione».

Da anni ti dividi tra la carriera musicale e la conduzione radiofonica. Radio Tre, per la quale conduci “Il terzo anello”, non si trova più in AM, le onde medie: come avete reagito davanti a questa “strategia d’azienda” che tanto disagio ha procurato agli ascoltatori?
«L’esclusione di Radio Tre dalle onde medie mi ha lasciato letteralmente di sasso. Diventa un’impresa trovare il segnale, che in alcune parti d’Italia non è neanche presente. A modo mio, attraverso i microfoni, ho preso le distanze da questa scelta».

Altri malumori sono stati sollevati dal “selector”, una macchina che sceglie autonomamente i brani da mandare in onda.
Per quanto riguarda il “selector” non mi sento di condannare più di tanto questa innovazione per una serie di motivi: a selezionare i brani sono sempre “gli addetti ai lavori” che macchine certamente non sono. Disporre di un database che ti permette di proporre un tipo di musica che non avresti mai trasmesso può risultare anche affascinante e propositivo: non solo per l’ascoltatore ma anche per il conduttore. I dati, che vengono man mano memorizzati nel “selector”, evitano di ripetere lo stesso brano nel giro di poco tempo assicurando una valida roteazione dell’immenso database musicale dell’archivio Rai. È anche vero che viene a mancare il fascino intimista della selezione personale dei brani da proporre. Non dimentichiamoci, però, che Radio Tre continua e continuerà a mandare in onda argomenti musicali che non troverebbero mai spazio in altri circuiti radiofonici».

Tornando a Stalteri musicista, a un anno dall’uscita del tuo ultimo album, “Rings: il decimo anello”, hai in cantiere qualcosa di nuovo?
«Sto lavorando a dieci notturni inediti che daranno luce al nuovo album. A queste composizioni ho intenzione di aggiungere “Staralfur”: il brano dei Sigur Ros che eseguirò stasera in versione piano solo».

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