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"De Anima Sicula", echi di passato dagli States

  • 6 febbraio 2006

“Sometimes the Soul – Two Novellas of Sicily”, tradotto per noi in italiano dall’appassionata Fulvia Masi col titolo “De anima sicula” (Dario Flaccovio Editore, pp. 224, € 14) è un testo delicato ma al contempo vivissimo. A partorirlo, la straordinaria scrittrice sicula-americana Gioia Timpanelli, una delle più famose storytellers del mondo, che con questo libro si è aggiudicata l’“American Book Award 1999”, e che recentemente è stata ospite dell’ambasciata italiana in Cile per meriti nella diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo. Di lei, Franc McCourt (autore de “Le Ceneri di Angela”) nella prefazione del testo, scrive: «Non c’è nessuno al mondo – al mondo, ripeto – che sa raccontare una storia meglio di come riesce a raccontarla Gioia Timpanelli». E c’è da fidarsi. Perché l’autrice, che oggi vive «fra i boschi di Woodstock, Ny, in una casa non diversa da quella di un libro di favole», sembra possedere la dote dei cantastorie: l’uso taumaturgico della parola, l’abilità di meravigliare il lettore e trasportarlo nell’universo parallelo della fantasia, dove l’anima felicemente si adagia fino a trovare ristoro. Due sono le storie, farcite di calda sicilianità, raccontate in “De anima sicula”. E sono, credeteci, una più carina dell’altra. Benché sia giusto precisare, si tratti di rielaborazioni di fiabe già esistite, che sono state a suo tempo (fine ottocento) raccolte dal palermitano Giuseppe Pitrè. Stiamo parlando di favole, infatti, che fanno parte della tradizione orale dialettale e popolare siciliana, tramandate in varie versioni da ogni popolo. In “De anima sicula” abbiamo, dunque, la versione, la chiave di lettura moderna, di Gioia Timpanelli.

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Nelle due novelle che l’autrice riprende (rinnovandole o re-inventandole, così come il cuore e la mente le dettava, “penetrando nei meandri dell’anima siciliana”), due sono i temi cardini che emergono: il desiderio di “liberazione” e quello di “trasformazione”, che coinvolgeranno due donne indimenticabili. Nel primo racconto, si narra la storia della baronessa Costanza, che vive segregata in un palazzo antico, nella Palermo del secolo scorso, e che trova nelle strane storie del pappagallo Nello, entrato come per magia un pomeriggio nella sua abitazione, la voglia per riaprirsi alla vita: «Dopo mesi di assoluto silenzio e privazione, […] il mondo le si era aperto in uno spettacolo di inaspettata varietà. Chi avrebbe immaginato che così tanto potesse passare per una piccola finestra?». Nel secondo racconto si narra, invece, la suggestiva storia della giovanissima Rusina, “Bedda” fanciulla che incontra la sua Bestia (Sebastiano, un mastro giardiniere, ritenuto da tutti brutto, ma veramente brutto), e che impara, tramite lui (gentile e paziente), ad amare: «perché sono così ingiusta? Perché mi lascio influenzare tanto dal suo aspetto? […] Possibile che io non riesca a vedere lo spirito dentro i contorni e i colori? Possibile che io non sia fedele all’originale e così mi ritrovo a non sapere amare ciò che accompagna lo spirito? Qual è la strada della comprensione?». Rusina intuisce che l’amore, quello vero, deve prescindere dalla bellezza puramente estetica, e che la bellezza-nobiltà d’animo è, fra tutti, il dono più grande. Non si è detto troppo. Solo quanto basta, perché l’invito a tuffarvi fra le pagine di questo volume diventi più incalzante. Certi, come siamo, che queste liriche, a metà fra la realtà e la fantasia, vi incanteranno.

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