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Garibaldi, Peter Brook per i dieci anni di attività

  • 4 ottobre 2005

L’11 Ottobre, in un’unica grande serata, alle 21, andranno in scena al teatro Garibaldi di Palermo (in via Castrofilippo alla Kalsa) due spettacoli del cosmopolita regista Peter Brook, per poi essere replicati, singolarmente: "Le grand inquisiteur" il 12 ottobre e "La mort de Krishna", il 13 ottobre. La presenza dell’ottantacinquenne regista è uno dei migliori modi che Matteo Bavera, direttore artistico del teatro, potesse realizzare per festeggiare il decimo anniversario di attività del magico palcoscenico della Kalsa. Il Garibaldi, simbolo della rinascita del quartiere, ha, in quest’anno così particolare, ospitato, da un lato, autori che incarnano l’anima profonda di Palermo, e più in generale del Sud-Italia, e dall’altro maestri antichi e nuovi della scena teatrale europea, tra i quali appunto spicca il grande Peter Brook, regista di 47 spettacoli teatrali e 8 film, curatore di 5 regie di opere liriche, scrittore di 6 libri e premiato da più di 30 importanti riconoscimenti in ogni parte del modo, tra cui il Premio Europa per il Teatro a Taormina nel 1989. Peter Brook, nato a Londra nel 1925 da genitori d’origine russa, dopo una brillante laurea ad Oxford in letteratura comparata, iniziò ad occuparsi di teatro, e a soli 24 anni ottenne l’incarico di direttore artistico al Covent Garden di Londra. È stato un memorabile “Re Lear” a diffondere la sua fama in Europa e a segnare una tappa fondamentale nel suo percorso artistico e in quello del teatro occidentale contemporaneo: lo spazio scenico diviene "vuoto", sono le parole, i corpi e l’energia degli attori a riempirlo d’immagini. Dalla metà degli anni ’60 la sua ricerca teatrale si fa ancora più radicale, aumenta il lavoro sul corpo, sulla voce e sull’improvvisazione, l’amicizia e gli scambi con Jerzy Grotowski contribuiscono a rafforzare questa tendenza.

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Nel 1970 si trasferisce a Parigi dove fonda il "CIRT" (Centre International de Recherches Théâtrales) e realizza "Orghast", spettacolo, considerato come il più portentoso lavoro sulla voce mai realizzato in teatro, che viene rappresentato a Persepoli, in Iran, nel 1971. La ricerca teatrale di Peter Brook si fa planetaria: per sperimentare nuove possibilità di comunicazione e improvvisazione, con il "CIRT" viaggia in Africa e negli Stati Uniti. Il 1985 è l’anno del "Mahabharata", lo spettacolo, proposto al Festival d’Avignone, dura nove ore e può essere considerato come una summa del lavoro di Peter Brook. "Le grand inquisiteur", il primo dei due spettacoli, che avremo modo di ammirare al Garibaldi, è stato da alcuni definito come un incontro tra Brook e Dostoevskij. Il grande regista che ha per casa il mondo, infatti, si misura con le sue radici russe “rubando” ai "Fratelli Karamazov" di Dostoevskij il lucido, terribile, monologo del Grande Inquisitore pensandolo per l’arte sottile di Maurice Benichou. Da un frammento del grande classico russo, Peter Brook realizza uno spettacolo di estremo nitore e intensità emotiva. Racconta il ritorno di Cristo in terra, a Marsiglia, all’epoca della Grande Inquisizione. La sua presenza muta fa da contraltare alle argomentazioni del Grande Inquisitore, un insuperabile Mauriche Bénichou. Nella parabola di Dostoevskij, Cristo è condannato una seconda volta: l’Inquisitore gli imputa la grave colpa di aver risvegliato nell’uomo la coscienza e il libero arbitrio. E una seconda volta perdona: perdono che ne "I fratelli Karamazov" si trasferisce da Ivan - il narratore - al fratello, con un abbraccio che placa i conflitti tra i due. In teatro, dove il racconto è privato della contestualizzazione e del tessuto narrativo del romanzo, la transitività del perdono e della lezione cristiana si esprime metaforicamente, attraverso l’universalità dell’alternativa morale espressa con i mezzi propri del teatro.

Parola, semplicità del gesto, polisemia dello spazio e del corpo dell’attore: Brook gioca magistralmente con le invarianti del suo linguaggio scenico. «In un’epoca in cui le dicotomie che hanno retto il mondo per mezzo secolo si sono dileguate - afferma Brook - forse l’atteggiamento migliore è quello espresso dal Cristo di Dostoevskij, basato sull’azione, l’esperienza diretta, non la discussione. E l’esperienza diretta è proprio ciò che il teatro può offrire». La presenza di Brook a Palermo sarà arricchita da un secondo spettacolo, "La mort de Krishna", mise en espace firmata dal regista anglo-francese, andata in scena per la prima volta alle Bouffes du Nord nel Gennaio 2003. "La mort de Krishna" può essere definita un “frammento”, una sintesi dell’epico, memorabile "Mahabharata", presentato al Festival di Avignone nel 1985. Krishna, con la sua duplice natura umana e divina, trova una nuova incarnazione scenica sempre grazie a Mauriche Bénichou, sin dall’esordio straordinario interprete del testo firmato da Jean-Claude Carrière e Marie-Hélène Estienne. Lo spettacolo racconta la morte di Krishna con l’estrema semplicità e rarefazione dei segni teatrali che contraddistinguono l’estetica di Brook. Un tappeto, due paraventi, candelabri, pochi oggetti significanti sono sufficienti a Bénichou per rievocare frammenti di un’epopea mitica ricca e composita, mentre racconta di guerra e di pace, di sete e di deserto, d’amore e di massacri, fino alla “socratica accettazione di una morte fortuita, perché il Tempo ha stabilito un limite”. A fare da eco sonora alle gesta di Krishna, le musiche composte da Antonin Stahly. Il costo dei biglietti è di 15 euro, ridotto 10 euro. Per informazioni telefonare allo 0916114255 o via e-mail teatrogaribaldi@hotmail.com


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