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Il testamento del martire

  • 26 novembre 2006

PASOLINI PROSSIMO NOSTRO
Italia, Francia, 2006
Di: Giuseppe Bertolucci
Con: Pier Paolo Pasolini - Il cast e la troupe di “Salò o le 120 giornate di Sodoma”

La voce di un poeta è il suo vero corpo. Quella di Pierpaolo Pasolini era una voce suadente ed aspra insieme, capace di ammonire con la severa dolcezza di un padre. Ed eccolo P.P.P., voce e corpo, nell’ultima e tormentata stagione della sua vita, in una lunga intervista realizzata dal giornalista tedesco Gideon Bachmann (i cui articoli e documentari sul mondo del cinema costituiscono un prezioso patrimonio storico-critico) sul set di quel capolavoro testamentario che rimane “Salò o le 120 giornate di Sodoma”.

Una perla preziosa devotamente raccolta dal regista Giuseppe Bertolucci per questo suo “Pasolini prossimo nostro”, titolo emblematico che segna l’esordio sul grande schermo di Angelo S. Draicchio della Ripley’s Film (il suo catalogo in dvd è davvero pregevole), con la fondamentale collaborazione dell’associazione friulana Cinemazero che ha conservato negli anni l’intervista filmata. Il docufilm di Bertolucci, evento speciale della sezione “Orizzonti” all’ultimo Festival di Venezia, è adesso in programmazione al Cinema Lubitsch di Paolo Greco, occasione straordinaria per conoscere o ritrovare una delle grandi figure del trascorso Novecento letterario e cinematografico nel momento in cui elabora la sua opera più estrema e tormentata (di cui troviamo altre testimonianze negli extra del dvd edito da Feltrinelli “La voce di Pasolini”, di Matteo Cerami e Mario Sesti dove la testimonianza intellettuale del poeta è evocata attraverso la lettura del bravo Toni Servillo).

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Lo spirito del dantesco “Salò” ispirato a Sade appare qui come trasferito nella maschera del suo autore (quel volto scavato ed antico, quel volto d’artista-icona simile a quello di Eduardo) durante l’intervista che ne sottolinea le svariate accese motivazioni. L’ultimo film di P.P.P. è un colpo allo stomaco, disperato e tagliente, implacabile e ieratico, straniato ed impressionante, insostenibile nella descrizione della sistematica tortura psicologica e fisica alla quale sono sottoposte le vittime dei signori del Castello sadiano, durante l’oscuro periodo di Salò che precedette la Liberazione.

All’intervista si alternano le limpide fotografie di scena scattate sul set dalla moglie di Bachmann, la bravissima Deborah Imogen Beer, che svelano, tra l’altro, quello che era stato pensato come il primo finale del film: una sequenza, a dire il vero più felliniana che pasoliniana, di un ballo che avrebbe dovuto coinvolgere sia gli attori sia la troupe. Un sigillo giocoso per un’opera ostentatamente pessimista, sintesi dell’ultima fase del pensiero pasoliniano orientata verso un radicale, sofferto disprezzo nei confronti dell’Italia preda di un secondo e più letale fascismo, di un’omologazione sociale capace di coinvolgere le giovani generazioni e di provocare una vera e propria letale mutazione antropologica.

Le parole amare e lucidissime di Pasolini che, come una Cassandra illumina di luce spettrale il futuro di una civiltà in decadenza che è quella dove ci ritroviamo a vivere, ci fanno apparire più vicini quei mitici anni Settanta che furono un laboratorio politico e culturale alimentato dagli oscuri oggetti dell’utopia. La notte del 2 novembre 1975 la vita del poeta civile Pasolini trovò il suo tragico ed esemplare compimento sul Lido di Ostia: da allora in poi a parlare per lui rimasero i suoi libri, il suo teatro, il suo cinema. “Salò” uscì postumo nelle sale, sottoposto alle maglie della censura e, dopo qualche anno, liberato.

Ma quell’intellettuale che ancora rimpiangiamo, quel maudit che spinse il proprio corpo nella lotta contro la retorica del proprio tempo, era anche un illuminante personaggio capace ancora di ammaliare persino gli spettatori distratti del nostro attuale mercato culturale. Per questo il bellissimo documentario di Giuseppe Bertolucci funziona non solamente come evento nostalgico, ma come vibrante testimonianza che esalta l’attualità concreta di una presenza necessaria, quella di P.P.P., profeta di degrado e cantore di strazianti visioni umane.

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