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La Tabella H, una sorta di creatura tra algebra e mito

Si fa un gran parlare in questi giorni di lei. Tabella H. Un nome algebrico che evoca complicati dettagli tecnici per esperti di contabilità pubblica

  • 9 maggio 2013

Questa è la storia di una creatura mitologica, la tabella H. Le leggende raccontano che ogni anno, con perfetto tempismo, si materializzi tra i banchi di Sala d’Ercole quando la solita maratona notturna dedicata all’approvazione della legge finanziaria è prossima all’alba e i pochi deputati che minacciano di opporsi sono stati fiaccati nella resistenza e nella lucidità. Perché questa creatura è astuta: non affronta lo scontro a viso aperto, ma attende il momento in cui la stanchezza renderà arrendevole anche il più tenace ostruzionismo.

Tabella H. Un nome quasi algebrico che evoca complicati dettagli tecnici, roba riservata a burocrati esperti di contabilità pubblica (e non si illuda chi pensa di scorgere nell’anonima identità di questa lettera solitaria una reminiscenza kafkiana: sarebbe una citazione troppo raffinata per i suoi artefici). Eppure dietro questa sigla incolore si nasconde una vicenda molto concreta fatta di soldi pubblici, interessi, favori, pressioni, scambi, accordi e clientele.

Perché questo è la tabella H: il grande decalogo che ogni anno decide dove cadrà la benevola pioggia dei contributi regionali, quali aridi - e avidi - terreni saranno vivificati dal denaro pubblico perché possano fiorire ancora con rigogliosa abbondanza. Insomma, un condensato della peggiore politica, quella che cerca il consenso sussurrando ad orecchie complici lusinghe e promesse e lo incatena alla logica dello scambio.

Anche quest’anno la lista degli enti che hanno beneficiato di un contributo - più o meno cospicuo, dipende dalle virtù dello sponsor politico - è un assortito campionario di iniziative culturali, sociali, benefiche, sportive, religiose, enogastronomiche e folcloristiche. Finalità che meritano plauso e considerazione, ma che non sempre giustificano un finanziamento pubblico.

I giornali hanno raccontato quali sorprendenti gemme si nascondano tra le pieghe di questa tabella: contributi attribuiti a enti estinti o a manifestazioni che sopravvivono misteriosamente alla loro stessa ragion d’essere (è il caso delle celebrazioni per il centenario della Targa Florio, che vengono ripetute e finanziate ogni anno da diversi anni, come se il blasone glorioso di questa corsa fosse riuscito ad arrestare il tempo). Ma, ancor più di queste amenità, è la sostanza politica che si celebra nel rito della tabella H a suscitare lo sdegno.

Finanziare un ente votato ad uno scopo ideale o altruistico, in sé, è scelta lodevole. Ma quando si gestisce denaro pubblico non è sufficiente la nobiltà del fine. Occorre che la destinazione dei contributi sia guidata da criteri oggettivi e trasparenti. Al di fuori di un quadro di regole, questa scelta diventa espressione di un arbitrio in cui l’esercizio del potere (s)cade nella patologia della sua distorsione.

Così la tabella H è il frutto di estenuanti accordi trasversali che vedono maggioranza e opposizione, con rare eccezioni, confondersi nell’indistinto grigio di una comune convenienza e sembra quasi di vederle queste riunioni clandestine in cui tanti deputati, i volti pingui di avidità, si affannano a chiedere, a promettere, a minacciare e a pretendere: il banchetto è troppo lauto per non prendervi parte, i contributi regionali sono un ottimo alimento per foraggiare clientele vecchie e nuove.

Non è difficile immaginare l’esito: gli enti orfani di un padrino politico non ricevono alcun contributo, mentre copiosi finanziamenti vengono elargiti a quelli che possono vantare maggiori aderenze. Una brutta storia, in cui non c’è merito, non c’è trasparenza, non c’è equità. C’è solo l’arroganza prepotente dell’abuso. La legittimazione formale offerta dalle prerogative dell’Assemblea Regionale non cambia la sostanza delle cose; e non la cambia la circostanza che le iniziative finanziate rispondano a istanze solidaristiche o presentino respiro culturale.

La solidarietà e la promozione della cultura sono valori alti, usarli come pretesti per operazioni clientelari significa imbrattarne la nobiltà e minacciarne l’indipendenza. È questo il cambiamento promesso con ripetute promesse dal Presidente Crocetta? Davvero non aveva modo di impedire che la Sicilia assistesse ancora una volta all’indecente spettacolo della Tabella H? Non ha potuto o, semplicemente, non ha voluto?

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