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Le storie vere di un eroico papà

  • 7 agosto 2006

Il primo coordinamento antimafia in Sicilia nel 1985, dopo la strage di Pizzolungo, la rivista di impegno sociale “Out, esce quando e come può”, lo scoutismo, la maratona, le immersioni, la canoa, i lunghi viaggi in bici, e persino il lancio col paracadute, insomma Salvatore Inguì è uno che ne ha combinate di tutti i colori, ne ha di cose da raccontare. Facendo autoironia su un fatto tutt'altro che faceto, Inguì racconta come è nato il suo libro: «A seguito di un attentato incendiario che mandò in cenere la mia casa e la mia vastissima inedita produzione letteraria, a proposito in quanto inedita sul suo valore dovete fidarvi della mia parola, la mia amministrazione temendo per la mia incolumità, decise di trasferirmi lontano da casa, e quindi fui costretto a vivere per un intero anno distante da mia figlia Susanna, cosa questa che si rivelò piuttosto pesante e dolorosa.

Decisi quindi di scriverle quelle storie che invece di solito le raccontavo. Allora non immaginavo affatto che dalla nostra corrispondenza potesse nascere questo piccolo libro». Essendo figlio della antica tradizione "orale", che vede 'u cuntu, il racconto orale appunto, come strumento per tramandare e intrattenere, l’autore conferisce alle storie che narra alla figlia una valenza pedagogica ed educativa: «Il fatto di raccontarsi - dice - in realtà è un atto di cura nei confronti di se stessi, è probabile che raccontare le mie storie a mia figlia fosse in prima istanza un momento auto-terapeutico e successivamente uno strumento pedagogico per Susanna».

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Nelle intenzioni dell'autore, "Le avventure di Papà" (Navarra Editore, 35 pp 6,5 euro) è un libro dedicato ai bambini ma vuole anche essere un suggerimento per i genitori a raccontare ai figli le proprie storie. «Il mio è un invito a farlo» dichiara Inguì alla recente presentazione del suo libro svoltasi a Palermo, «il racconto orale è forse la più antica e forse pedagogicamente la più valida attività che l'uomo abbia messo in atto da quando ha imparato a comunicare con i suoi simili».

Ritornando con la memoria ai tempi della sua nemmeno tanto lontana infanzia l'autore afferma: «io ho potuto vivere la piacevolezza dello stare insieme dopo cena attorno ad un fuoco ad ascoltare qualcuno che aveva qualcosa da raccontare, e dietro ad ogni racconto c'era sempre qualcosa da imparare. Non è la televisione che ha preso il sopravvento, là dove si parla la televisione rimane spenta, essa ha solo colmato degli spazi lasciati vuoti da noi, che la accendiamo se non abbiamo – o pensiamo di non avere – niente da dire».

Due sono quindi a nostro avviso gli elementi importanti e da sottolineare per questo piccolo libro dell’avventuroso Inguì; l'omaggio alla tradizione del racconto orale e il tono con cui l'autore parla a sua figlia, chiaro, semplice e sincero, ovvero col rispetto che ogni scrittore dovrebbe garantire ai propri lettori.

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