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Signor Panico… che bestia che sei!

Intervista allo psichiatra triestino, Roberto Pagnanelli, che ci svela i misteri di questa brutta e goffa bestia che t’insegue quando meno te l’aspetti

  • 29 dicembre 2004

Brutta e goffa bestia che t’insegue quando meno te l’aspetti, che si diverte ad intuirti indifeso, che riesce a farti pensare addirittura “morirò?”: il panico. Proprio una “pazza malattia” (come la definiva Freud) il “Disturbo da Attacchi di Panico” (DAP), e ne risente più gente di quel che si è portati ad immaginare. Basti considerare, stando a quanto afferma il Ministero della Salute, che in Italia ne soffrono almeno sette milioni di persone, senza distinzione alcuna di professione, ma con un’accertata prevalenza femminile (l’età maggiormente coinvolta è quella giovanile, venti-trent’anni). Va da sé che questo disturbo è anche decisamente ingolfante, probabile fonte d’assenteismo nel lavoro e dai risvolti sociali spesso infelici. Perché ne parliamo? Perché un po’ di tempo fa ho ascoltato alla radio lo psichiatra triestino Roberto Pagnanelli (nel 2003 ha scritto il romanzo “Attacchi di panico. Che cosa sono, come affrontarli, come curarli”, edito dalle Edizioni il Punto d’Incontro, 184 pp., 12,90 euro) e sono rimasta folgorata non solo dall’affabilità e competenza con cui lo stesso psicoterapeuta ha trattato l’argomento, ma soprattutto per la mole di persone che sono intervenute al programma radiofonico, proiettando senza remore alcuna le più svariate - ed anche intime - paure, con il desiderio sfrontato di ottenerne un toccasana. Quel giorno mi ripromisi di contattare Pagnanelli, e a distanza di mesi ci sono riuscita! A voi, il bottino delle risposte. Ma niente ansia, ragazzi. Che con le nostre fragilità e “grandezze” stiamo tutti sulla stessa barca, e “la conoscenza” è da stimolo per vivere meglio.

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Dottor Pagnanelli, chi non muore si risente…
«E’ trascorso un po' di tempo da quel 25 gennaio 2004 giorno nel quale partecipai a una bella trasmissione di RTL 102,5 dedicata al panico. Giorgio Medail, conduttore di Totem, mi volle proprio per il successo riscosso dal libro “Attacchi di panico” che presentai al grande pubblico in quell’occasione. Fu un’esperienza davvero indimenticabile, i centralini furono presi d’assalto fino a intasarsi: ognuno voleva dire la sua, essere compreso, confortato, avere da me la speranza di poter guarire. E, con mia sorpresa, anche in ambulatorio il numero dei casi aumentò. Non appena usciva un paziente ne entrava un altro, e poi subito dopo un altro e un altro ancora, tutti con lo stesso problema. “Che succede, ragazzi? C’è un’epidemia di panico?”, ebbi a chieder loro. Non ero ancora esperto in materia, i pazienti non mi conoscevano, eppure venivano perché c’era qualcosa nell’aria, un disagio collettivo, un’ansia comune, qualcosa capace di agitarli senza un motivo apparente. Il panico come una sindrome influenzale, capace di espandersi da un paziente all’altro senza confini e per il quale, a tutt’oggi, non è stato ancora trovato, purtroppo, un vaccino efficace...»

Di ansia e panico ne soffrono in parecchi… ma quali sono esattamente i sintomi?
«Innanzitutto la paura della morte, che ne diventa il sintomo prevalente. Il soggetto teme di avere un infarto, è convinto di avere i minuti contati, e vive il suo stato d’animo con una sola certezza, che qualora sopravvivesse al panico, non guarirà più. E’ questo il nodo che viene al pettine in ogni situazione. L’ineluttabilità, il desiderio di fuggire da qualunque esperienza e il non poterlo fare. E’ difficile far comprendere il panico a chi non ne ha mai sofferto. Qualcuno ha provato a descriverlo, in questo modo, che mi è parso efficace: “avete mai provato a gettarvi da un aereo e a cadere nel vuoto da mille metri d’altezza con un paracadute appeso alla schiena e constatare che... lo stesso... poco dopo... non si apre? Quel che accadrà nei prossimi venti secondi è il panico! Il terreno che vi corre incontro a folle velocità, l’avvicinarsi all’attimo della propria morte senza poter impedirlo. Una sensazione terribile!”. Il tutto accompagnato da sintomi neurovegetativi: il cuore in gola, la dispnea (difficoltà a respirare), le extrasistoli, i formicolii alle mani e ai piedi, la sensazione di svenire, di perdere i sensi, e soprattutto... il terrore che investe la mente. L’individuo, per fortuna, non muore - non ne è mai morto nessuno, ricordatelo - ma proprio perché sopravvive all’evento entra in uno stato particolare. E la paura di poter provare ciò che si è già provato diventa una molla capace di spingere il paziente lontano da tutto e da tutti, costringendo qualcuno a rinchiudersi a casa propria e a non uscirne più.»

Certo. Dal suo romanzo si evince che il “DAP” può essere inteso da vari punti di vista. Innanzitutto, quello della psichiatria. Affascinante la “storia” sulle cellule del nostro cervello…
«Sì, le cellule del nostro cervello giocano un ruolo importante nella genesi del panico. La disciplina scientifica psichiatrica afferma che il problema panico è legato esclusivamente ad alterazioni dei neuromediatori cerebrali, piccole molecole capaci di correre fra un neurone e l’altro. Chi possiede troppi neuromediatori, come fossero tanti corridori che partecipano alla maratona di New York riversandosi fra le strade del nostro cervello, diventa una persona maggiormente “sensibile” al panico. Egli ammalerà proprio perché “destinato” ad ammalarsi dal punto di vista biologico e genetico.»

Un malessere psichico (che, abbiamo inteso, può essere di natura anche genetica) porta conseguenze somatiche, o è giusto dire anche il contrario?
«In effetti è noto che chiunque di noi provi paura (pensate a chi assista a un incidente stradale) sperimenti dapprima un vissuto psichico, nel quale si rende conto del pericolo (osservando la dinamica dell’incidente e valutandone le conseguenze). Subito dopo però questo vissuto psichico si trasforma in fisico. Allora la pupilla si allargherà - fenomeno definito midriasi - il cuore innalzerà la sua frequenza, il respiro si farà superficiale, le mani suderanno e ne conseguiranno tutti i sintomi fisici che abbiamo descritto. Tuttavia per la psichiatria è vero anche il contrario, che un problema fisico sia alla base di un vissuto psichico.»

Veniamo ad una sorpresa mitologica: il soggetto panico deriva da “Pan”, il dio greco?
«Sì, è proprio una considerazione curiosa. A volte anche la mitologia greca, in mezzo a tante moderne valutazioni, ci dà una mano a comprendere il senso del panico. Il termine attacco di panico deriva dal dio greco “Pan”, fauno mezzo uomo e mezza capra, intento a suonare il suo flauto in un ambiente bucolico. Stando alla mitologia, il dio Pan è il dio del godimento (quale, si chiederanno i lettori, se ci terrorizza?) accoppiandosi frequentemente con le Ninfe. Eppure proprio quel dio che è capace di sconvolgervi vi può aiutare, come spiego nel libro, a tirare fuori da voi il meglio di voi stessi.»

Già, è vero, “Pan” alla fine non è cattivo, e può diventare propizio darvi attenzione. Ma, dottore, il panico può colpire tutti noi, indistintamente?
«Chiunque nella sua vita può avere attacchi di panico ed esserne travolto con la forza di un ciclone. Solo il fatto di possedere un cervello ci predispone all’insorgenza del panico (secondo l’ottica biologica, il panico è una vera e propria “malattia del cervello”). Ma anche il fatto di possedere una mente espone, se non sappiamo usarla bene, alle sindromi ansiose.»

Esiste una causa traumatica?
«Anche in questo caso la risposta è affermativa. Molti studi indicano nell’esistenza di un trauma psicologico recente o precoce la causa dell’insorgenza del panico.»

Parliamo di strategie. Quali sono le più adeguate per il “DAP”?
«Direi che non ve n’è una sola. Le strategie terapeutiche comprendono gli psicofarmaci, fra cui ricordiamo gli antidepressivi e gli ansiolitici, e i farmaci naturali che noi medici non disdegniamo di utilizzare e che se ben conosciuti possono condurre a risultati sostanzialmente sovrapponibili a quelli ottenuti con i farmaci chimici. L’omeopatia, la fitoterapia, i fiori di Bach, con tante ricette illustrate nel libro, sono molto efficaci e conducono la maggior parte dei soggetti fuori dall’incubo della dipendenza dai farmaci e dai sintomi del panico. Sono inoltre essenziali le psicoterapie. Quelle che più prediligo ho voluto raccoglierle in Approccio Intelligente: un insieme di tecniche facili da comprendere che aiutano a vincere il panico rispettando la personalità del paziente.»

Quali, infine, gli atteggiamenti da adottare nei confronti di un amico panico? Perché dall’ascoltare al lasciarsi poi empaticamente travolgere il passo è breve. E poi, chi salva chi?
«In effetti anche questo è un problema. Consigliare un amico è la cosa più difficile che si possa fare. Vivere poi a fianco di chi soffre di panico è un’impresa al limite dell’impossibile. Più di qualcuno dei parenti mi ha suggerito di scrivere un libro sul “come si fa a vivere accanto a un paziente che soffre di panico”... Ci sto pensando, credo che sarebbe un best-seller! Ai lettori dico solo di saper ascoltare, di essere partecipi ma non di lasciarsi travolgere. Di essere fermi nelle proprie decisioni e di non rifiutare l’aiuto di uno specialista, psichiatra o psicologo che sia il quale, sicuramente, potrà aiutare più di un parente stretto con la certezza di una sola cosa: che dal panico si può guarire e uscire più forti di prima. Perché l’uomo e la donna che escono dal panico diventano uomini e donne... sicuramente migliori di prima! E su questo non vi è alcun dubbio. Per i più appassionati offro in anteprima un’anticipazione: uscirà a maggio, edito dalle Edizioni il Punto d’Incontro un CD di musicoterapia realizzato specificamente per gli attacchi di panico e per chi soffre di questo annoso problema.» Una leccornia “camomillata” e musicata da non trascurare! Chi fosse, tuttavia, interessato a saperne di più o volesse contattare direttamente il dottor Roberto Pagnanelli, eccovi il link giusto: www.laforzadellamente.it.

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