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Simboli, emozioni e mistero alla prima de “La principessa Meleine”

  • 31 maggio 2005

Un semicerchio di spettatori, coinvolti e attenti, si è ritrovato, la sera del 24 Maggio, a circondare lo spazio scenico de I Candelai a Palermo (in via Candelai 65), per assistere alla prima de “La principessa Maleine”, tratto dall’omonima opera di Maurice Maeterlinck, uno dei più importanti rappresentanti della drammaturgia simbolista, spettacolo (in scena anche il 25 maggio) diretto da Giulio Giallombardo. La luce soffusa, rossastra e ambrata, i rumori e i suoni ancestrali, hanno subito trasportato il pubblico in una dimensione onirica e fiabesca, creata non certo da una scenografia ricca ed artefatta ma, al contrario, dalla presenza in scena di alcuni elementi naturali, emblemi stessi del dramma. Pietre, acqua, terra, rami, un mantello nero… hanno costruito una “foresta di simboli” che se da una parte delimitavano, costituendolo, lo stesso spazio d’azione della vicenda, dall’altra erano la vicenda stessa, la stessa storia…erano mistero e turbamento emotivo. Questi elementi, presi in prestito dal mondo naturale, erano ciascuno simbolo di una determinata vibrazione dell’animo umano davanti il mistero ed il fascino di un mondo “altro” che si presentava occulto, fascinoso, metafisico.
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La vera protagonista, infatti, non era una presenza corporea e fisicamente visibile in scena ma era una voce, un suono, era la principessa Maleine…un’entità privata della sua corporeità ma non certo della sua essenza intima. E lo dimostrava il fatto che, in qualità di ombra spettrale, era ancora capace di provocare ansia, angoscia, tensione, desiderio e al tempo stesso paura in coloro che le stavano accanto. Intorno a Maleine, infatti, si sono mosse le azioni ma soprattutto i sentimenti degli altri personaggi, interpretati con cura e intensità da attori tutti provenienti dalla scuola Teatés. Uliana e il principe Hjalmar erano estremamente disorientati dalla presenza e contemporanea assenza di Maleine e ciò nonostante erano mossi dal desiderio di ritrovarla, dalla tensione verso questa voce, resi fragili, ingenui e persino infantili dalle loro emozioni. Il re e la regina Anna, al contrario, scossi dalla paura di un suo eventuale ritorno tra loro, nel loro mondo, sembravano avere timore che questo scomodo fantasma ritornasse a far capolino. La paura, sui loro volti, si è trasformata in perfidia, quasi in violenza, tanto da far loro commettere un delitto sullo stesso spettro di Maleine. E che dire, ancora, del dolore e dello strazio che ha animato la nutrice della principessa scomparsa, prigioniera di una torre, sospesa tra cielo e terra, a metà tra due mondi, costretta a divenire la “nutrice dei vermi”? Infine altre tre presenze femminili hanno occupato la scena, quasi come un coro tragico di moderne Coefore, muovendosi nere e sinuose per celebrare riti, mormorando frasi religiose, in cerca di un mistero da evocare e svelare.

I personaggi, dunque, sembravano essere sul punto di scomparire, in bilico davanti ad un passaggio che li avrebbe portati verso una nuova dimensione dove anche ciò che non si vede in qualche modo esiste. A condurli lungo questa strada c’era la musica che, proprio come Maleine, priva di volto ma non certo di carattere, è stata la protagonista assoluta di questo dramma fiabesco. La musica è stata il volano su cui hanno viaggiato le emozioni primordiali ed oscure dei personaggi ed ha rappresentato sonoramente ciò che invece visivamente era raffigurato dai simboli. Musica e simboli, dunque, sono le grandi passioni del bravissimo e giovane regista Giulio Giallombardo, (formatosi come attore e giunto al suo terzo lavoro di regia teatrale), che lo hanno incuriosito e spinto verso quest’opera, e sono appunto i due perni su cui egli ha voluto incentrare la sua rilettura e messa in scena del dramma di Maeterlinck. Giallombardo è rimasto fedele al testo, pur eliminando talune scene, ed ha saputo rendere efficacemente persino effetti speciali e sonori, molto complessi da realizzare, come vento, grandine e tempesta. L’importanza centrale della musica è stata ben sottolineata dall’abilità di Angelo Davì, curatore delle musiche e delle elaborazioni elettroniche. La bravura degli attori, riscontrabile in gestualità, mimica e dizione estremamente curate, e la loro intensità interpretativa, ha reso interessante e coinvolgente un testo difficile, che forse potrebbe risultare troppo enigmatico e oscuro allo spettatore impreparato.
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