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Tino Signorini: la poesia del silenzio

Da una serie di nudi e volti di donna degli anni Sessanta, si passa ai silenzi degli oggetti e degli esseri evocanti una vita rimasta solo come traccia

  • 2 novembre 2004

La polvere della memoria e la trasfigurante ombra del ricordo si addensano come vapore sui vetri nelle immagini di Tino Signorini, artista nato a Tripoli nel 1933 ma trasferitosi in Sicilia da adolescente, protagonista della suggestiva mostra “Dove la notte cittadina scorre”, visitabile a Palermo fino al 10 novembre a Palazzo Branciforte (via Bara all'Olivella 2), sede istituzionale del Banco di Sicilia (ingresso gratuito dal lun. al ven. dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18; sab. dalle 10 alle 13, chiusura domenicale). L’esposizione, promossa dalla Provincia Regionale di Palermo, curata da Gaetano Bongiovanni e organizzata dall’associazione Otium, ripercorre, con più di centosettanta pezzi, tra oli, tecniche miste e opere grafiche, quarantadue anni di carriera di Signorini, dal 1962 a oggi, ricomponendo attraverso un affascinante mosaico un percorso coerente, omogeneo, dove, a distanza di anni o decenni, le storie, le emozioni, le frasi lasciate in sospeso sembrano continuare e rincorrersi in una tessitura di fili soffice e tenue come il segno e le cromie che compongono le scene, le nature morte, i paesaggi, gli interni domestici.

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Da una serie di nudi e volti di donna degli anni Sessanta, tecnicamente ineccepibili, si passa ai silenzi degli oggetti e degli esseri evocanti una vita rimasta solo come traccia – le conchiglie, le lische di pesce, i ricci di mare, di cui ci racconta in un eterno ritorno la storia infinita – e tutto un ‘inventario quotidiano’, citando un titolo di un suo quadro, che assume la forza di un monumento al vissuto e alla solida e rassicurante concretezza della realtà di ognuno, dove però non smettono di rapprendersi rimpianti, dolori, angosce, malinconie, chiusi in quelle stanze dalle cui finestre non si percepisce che un cielo nebbioso. Se le immagini delle fabbriche abbandonate e delle città solitarie dichiarano il riferimento a Sironi, non mancano gli omaggi a Renzo Vespignani e alle nature morte poetiche e silenti di Giorgio Morandi, mentre nell’uso assolutamente magistrale che Signorini fa della grafite impiegando la matita conté, egli si ricollega idealmente alle morbidezze dei segni di Degas, a cui lo accomuna anche l’uso dei pastelli a cera, che contribuiscono ad acuire il senso di pastosità del segno grafico.

Numerose le citazioni dei linguaggi dell’avanguardia, come la presenza dei caratteri tipografici e la riproposizione del collage di matrice cubo-dadaista, che sembrano voler interferire con l’assoluto lirismo delle composizioni agendo per dissonanza, oppure, semplicemente, per lanciare labili tracce di messaggi e pensieri. In alcune opere possiamo rintracciare anche echi dell’impostazione postcubista dello spazio dato per masse di colore che evocano, ad esempio, paesaggi e composizioni a tasselli del pittore francese di origine russa Nicholas De Staël. Catalogo in mostra a cura di Gaetano Bongiovanni, con testi critici di Laura Romano, di Bruno Caruso e del curatore. L’allestimento è stato curato con la consulenza di Giulio Signorini.

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