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“Turandot”, il pathos del sacrificio d'amore

  • 20 febbraio 2006

La nuova opera in cartellone per la stagione del teatro Massimo di Palermo (in piazza Verdi) è la celebre opera di Puccini rimasta incompiuta, “Turandot”, dramma lirico in tre atti e cinque quadri, in scena dal 28 febbraio al 14 marzo. Il libretto è di Giuseppe Adami e Renato Simoni, tratto dall’omonima fiaba di Carlo Gozzi. L’ultimo duetto e il finale dell’opera sono stati completati, dopo la morte di Puccini, da Franco Alfano, che si basò sugli appunti lasciati dal grande compositore, per volere della stessa famiglia Puccini e dell’editore Ricordi. Nonostante il completamento di Alfano, Turandot è rimasta uno dei capolavori incompiuti del teatro musicale novecentesco (e così lo dovette considerare Arturo Toscanini quando, alla "prima" del 1926, interruppe l’esecuzione lì dove Puccini aveva terminato la partitura). Al teatro Massimo sarà rappresentato l’allestimento del Maggio Musicale Fiorentino; il direttore sarà Nello Santi, la regia è di Zhang Yimou, le scene di Huang Haiwei, Gao Guangian, Zeng Li, i costumi di Wang Yin, luci di Bruno Ciulli. L’orchestra, il coro, il coro di voci bianche e il corpo di ballo sono della Fondazione Teatro Massimo con la partecipazione del Jilin City Song and Dance Ensemble. Nei panni dei protagonisti ritroviamo Georgina Lukács e Giovanna Casella interpreti della bella principessa Turandot, Francesco Hong e Badri Maysuradze, interpreti dell’eroico principe Calaf.

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Il dramma è suddiviso in tre atti. Il primo atto, ambientato a Pechino in un tempo imprecisato, si svolge su una musica tagliente che simboleggia la crudeltà della protagonista. Qui viene spiegato l’antefatto della storia e cioè che la bella e inafferrabile principessa Turandot andrà in sposa solamente a chi, di sangue reale, scioglierà tre enigmi da lei proposti. Un boia ucciderà tutti coloro che falliranno. Il principe Calaf, senza rivelare a nessuno il suo nome, abbagliato dalla bellezza della principessa, decide di accettare la sfida, e a nulla valgono le preghiere di chi cercherà di dissuaderlo, tra cui suo padre Timur, la schiava Liù, una fanciulla perdutamente innamorata di lui e i tre ministri Ping, Pang e Pong che gli illustrano le tremende crudeltà che vengono compiute a palazzo contro chi fallisce nell’ardua impresa. Nel secondo atto i tre ministri si ritrovano nella loro tenda a ripassare sia il protocollo nuziale sia quello funebre, per esser pronti ad allestire l’uno o l’altro a secondo dell’esito della nuova sfida lanciata a Turandot dal principe ignoto. La vicenda ritorna nel vivo e così Turandot, dopo aver spiegato le ragioni della sua crudeltà, propone al principe i tre enigmi. Calaf, dopo aver superato la prova, con gesto di generosità, si dimostra pronto a rinunciare alla vittoria e a proporre a sua volta una sfida a Turandot: se lei fosse riuscita a svelare il suo nome prima dell’alba, lui avrebbe accettato di morire. Nel terzo atto, le voci degli araldi diffondono la volontà di Turandot: tutti veglino e cerchino di conoscere il nome del principe ignoto. Anche Calaf rimane sveglio, ormai proiettato verso la vittoria definitiva che lo attende al mattino e al bacio di Turandot.

È questa l’occasione per la celebre aria tenorile pucciniana, di grande slancio lirico (“Nessun dorma”). A questo punto entrano in scena Timur e Liù, logori e insanguinati, sospettati di essere a conoscenza del nome segreto del principe. Liù, però, non è disposta a tradire Calaf ed affronta con determinazione la tortura e la morte per dare la vittoria all’uomo che ama. Il compianto accorato di Timur e di Calaf sul corpo di Liù morta, avvia un mesto corteo funebre. Qui termina la parte dell’opera, cui Puccini riuscì a lavorare, prima della morte avvenuta il 29 novembre 1924. Nel finale composto da Alfano, Turandot e il principe ignoto rimangono soli, l’uno di fronte all’altra. Calaf con l’impeto della passione riesce a baciare la principessa, la quale, come trasfigurata, rimane ormai senza più voce, né forza, né volontà. Emblema della celebre opera, elevata a simbolo della nostra cultura nazionale, è dunque più che la bella e crudele principessa, il percorso emotivo che questo personaggio compie, il suo processo di umanizzazione. Ma, ancor più importante ai fini della differenziazione che Puccini volle compiere rispetto alla favola originaria, è l’introduzione del personaggio di Liù, estraneo alla favola gozziana e che, facendo da contraltare alla crudeltà iniziale della principessa, con il suo sacrificio d’amore dona all’opera quella grande dose di pathos che Puccini ricercava. I biglietti per “Turandot” hanno un costo che varia da 14 a 97 euro (turno prime) e da 12 a 77 euro (repliche) a seconda del posto occupato. Informazioni al numero 091.6053555 o all’indirizzo biglietteria@teatromassimo.it. Il botteghino del Teatro Massimo è aperto dal martedì alla domenica dalle 10 alle 16. Nei giorni di spettacolo apertura da un'ora prima a mezz'ora dopo l'inizio della rappresentazione.

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