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Un eroe immorale per un giallo a portata di tutti

  • 6 novembre 2006

Una riedizione di “Sarti Antonio e il malato immaginario”, curata da Flaccovio Dario Editore (pagg. 320, € 14,50) ci offre, assieme a Loriano Macchiavelli – scrittore, autore teatrale, sceneggiatore radio-televisivo e fondatore del “Gruppo 13”, con Carlo Lucarelli, e della rivista “Delitti di Carta”, con Renzo Cremante – le illustrazioni del compianto Magnus, al secolo Roberto Raviola, morto dieci anni or sono, una fra le più apprezzate matite della storia del fumetto italiano.

La storia, già pubblicata a puntate dalla rivista “2000 Incontri” (tra il gennaio ‘87 e l’ottobre ‘88) offre l’affresco di una grassa Bologna anni ottanta prossima al cambiamento; fra truffe sanitarie e traffici d’eroina, e con un finale aperto su tre vie, caso inusuale anche per il più classico fra i generi letterari. Raccolto poi in romanzo, nella sua prima edizione, dall’editore Cappelli (1988), singolare e divertente appare anche la terza persona narrante, che dalla sua privilegiata postazione s’aggiunge e segue le vicende dei protagonisti, talvolta spiazzato dalle loro diversità caratteriale.

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Perché l’indagine, con un Macchiavelli di sicuro grato al suo più ben noto Sarti Antonio, ma forse anche un po’ stanco della sua monotonia, lascia libero spazio al proprio narratore, irrimediabilmente attratto dal vice questore aggiunto Poli Ugo, l’eroe immorale, per il quale la giustizia è solo un mezzo di rivalsa nei confronti di colleghi frettolosi, che spesso bollano casi giudiziari con finali dubbi. Per lo “Zoppo”, questo il soprannome di Poli, per via di una menomazione fisica alla gamba destra (e di cui ben si guarderebbero in Questura dal chiamarlo tale, dato la sicura incivile reazione), la giustizia è semplicemente una “erre” rossa apposta a matita sulla pratica da archiviare, piuttosto che le manette per un colpevole individuato da sottoporre a un giusto processo. Il vice ispettore, infatti, è stato relegato agli scantinati dell’ufficio protocollo in Centrale, ma in questo romanzo contende i riflettori a Sarti Antonio, sergente legalista.

«Con questo romanzo – afferma in postfazione Tommaso De Lorenzis – avviene un fatto inusuale nel genere giallistico, ovvero la trasmutazione di Sarti a co-protagonista, visto la centralità dell’emergente Ugo Poli». Chi si aspetta così di ritrovare il solito “Sarti sergente” in compagnia di “Felice Cantoni, agente”, entrambi nell’instancabile volante numero 28, con la figura dell’anarchico Rosas, l’amico universitario di Sarti qui alle prese con la minaccia di un devastante sfratto, non può che trovarsi spiazzato di fronte a uno sbrigativo Ugo Poli dai modi diretti e dalla scialba vita familiare, ma anche dal cervello di faina, piuttosto fine e rude, e come un treno in corsa, nonostante la menomazione fisica a una gamba.

Un questurino in bicicletta, dai modi fascisti, “perché fascista è tutta la vita”, come dice in un telegrafico dialogo telefonico alla moglie. Il narratore sarcastico, anch’esso punta del racconto, ha comunque le sue responsabilità nell’essere interessato più alle vicende dello Zoppo che a quelle del Sarti e forse è anche per questo, data la diversità dei personaggi principali, che il romanzo assume una sua forza intangibile, tanto da tenere incollato il lettore alle sue pagine, accattivandosi anche le simpatie di chi non è proprio avvezzo al genere giallo. Però poi di tanto in tanto riappare il nostro Sarti, a fianco dell’irritato Zoppo, e la differenza, che è una fantastica trovata, si ravvisa tutta nel finale, nei due ultimi capitoli, con un menagè a trois: le tre logiche al delitto di Luca Pomelli Parmeggiani.

Quella di Poli, più di tutti attivo, per lo sforzo principale sostenuto nell’indagine informale, quella di Sarti Antonio, il titolare legittimo, nonostante privo dello sfrattato ed avvilito Rosas e, infine, quella della voce narrante, che da respiro alla logica di un lettore, dato che Loriano Macchiavelli, spogliandosi del monopolio del finale, ha premiato la pazienza dei propri appassionati estimatori.

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